Il commento
Legge elettorale, si apre il dibattito sulle preferenze. La riforma al centro delle priorità del governo

Il Conclave ha ipnotizzato l’opinione pubblica globale con un magnetismo trascinante, un po’ per il fascino dei suoi riti antichi, traboccanti di eleganza e profumati di eternità; un po’ per i luoghi che lo hanno accolto, abbacinanti nello splendore rinascimentale; un po’ per l’intelligenza della scelta finale, sorprendente e azzeccata come sempre. Capace di riproporre la Chiesa di Roma come bussola credibile in un mondo globale che l’ha persa.
Per i credenti, in realtà, è l’ispirazione dello Spirito Santo a sciogliere sempre le difficoltà della scelta dei porporati. Per chi guarda la cosa da un altro punto di vista, diciamo più prosaicamente dal lato delle procedure elettorali, si dovrà apprezzare la potenza “democratica” del voto di preferenza. Sì, proprio quello cacciato con un anatema dal sistema elettorale italiano della Camera e del Senato nel 1993 per lasciare il posto alle “liste bloccate”, un elenco di cooptati per decisione non dello Spirito Santo, ma di un capo bastone assai terreno, che porta in paradiso chi gli pare a lui, facendo a pezzi il diritto di scelta che la Costituzione mette in mano al popolo sovrano.
Negli stessi giorni in cui i reverendissimi grandi elettori si apprestavano a scegliere con “sapientia cordis” il Papa americano, la presidente Meloni tornava a parlare di nuova legge elettorale. La necessità della riforma, che s’impone di suo per molte ragioni, tra cui anche quella più sopra accennata, viene messa dalla presidente in necessario collegamento con il premierato elettivo: riforma costituzionale ormai nota come “la madre di tutte le battaglie”. Giorgia Meloni ha parlato di sistema proporzionale. Lo spazio limitato delle dichiarazioni non rendeva possibile il dettaglio di tecnicalità’: è rimasta un’indicazione di massima e qualche esegesi fatta circolare dai soliti bene informati sul “come”. Sì, perché dire “proporzionale” vuol dire molto ma non tutto: tra il proporzionale “puro” e il maggioritario “puro” – che peraltro in natura sono rarissimi – c’è un oceano di varianti “miste” in grado di stravolgere il senso stesso della rappresentanza che ossequia la volontà del popolo “in proporzione”.
Insegnano i maestri come Sartori, per esempio, che uno sbarramento alto, richiesto per accedere alla rappresentanza, ha un valore che altera e non poco la logica proporzionale avvicinandola al maggioritario e così, ancora per esempio, il premio di maggioranza o le circoscrizioni elettorali piccole. Di tutto questo si parlerà quando si arriverà – se si arriverà – al dibattito parlamentare su un progetto concreto, certo. Ma, a parte la scelta di campo del Parlamento sulla formula elettorale, resta il tema della scelta da parte degli elettori. Per essere più chiaro: torneremo o no a votare il nostro legislatore preferito? O questo non accadrà più? Perché la cosa strana, anzi misteriosa, è questa: al Comune, alla Regione, perfino al Parlamento europeo, gli elettori italiani possono scegliere il proprio candidato scrivendo nome e cognome. Al Parlamento, però, no.
Perché? Non si sa. Alla domanda vengono date risposte evasive o contraddittorie, del tipo: “evitiamo così il voto di scambio, le infiltrazioni mafiose, la compravendita dei voti”. Perché in tutti gli altri livelli elettorali il problema non si pone o è più tollerabile? Suvvia! Risulta chiaro che ai cooptati e ai cooptanti – che poi sono gli stessi che fanno le leggi elettorali – fa comodo la lista bloccata: nessuna fatica per la campagna elettorale, nessuna necessità del consenso personale, nessuna sorpresa tra gli eletti.
Come si può pensare, allora, che chi è stato eletto in questo modo si complichi la possibilità di tornare in Parlamento rimettendo il suo destino nelle mani degli elettori, piuttosto che in quelle, più sicure, del suo capo? Occorrerebbe una determinazione molto forte da parte del governo che dovrebbe così rinunciare al controllo a priori dei deputati e dei senatori. Questo significherebbe una svolta epocale, capace di insufflare un nuovo alito democratico nell’impianto ormai cesaristico dei nuovi “partiti”. Possiamo augurarcelo. Il pensiero torna al Conclave e al libero voto di preferenza perché, almeno da quelle parti, il libero arbitrio è di casa, ed è capace di splendide sorprese.
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