Il più grave errore giudiziario d'Italia
La nuova vita di Zuncheddu: “Pensionato senza pensione, Meloni da Chico Forti, a me neanche un biglietto. Senza famiglia sarei stato un delinquente in più”

Quello di Beniamino Zuncheddu è stato il più grave errore giudiziario italiano. Nei giorni della polemica di Gaia Tortora, figlia di un altro eccellente caso di malagiustizia, Enzo Tortora, contro la decisione del Pd di astenersi in commissione giustizia alla Camera nel corso della votazione (non passata) sull’istituzione di una giornata, il 17 giugno, che ricordi ogni anno le vittime degli errori giudiziari, il Corriere della Sera intervista il 60enne sardo tornato in libertà un anno fa dopo ben 33 anni vissuti in carcere da innocente perché giudicato colpevole per la strage di Sinnai (tre morti e un sopravvissuto).
La nuova vita di Zuncheddu: messo chili, curato cataratta e denti
Per l’assoluzione definitiva, Zuncheddu dovrà aspettare la fine del processo di revisione in programma il prossimo 26 gennaio. Un anno dopo il ritorno in libertà ha messo su dieci chili, ha curato la cataratta e i suoi denti dopo che, a causa della piorrea, gliene era rimasto solo uno. Oggi vive a Burcei, a 50 chilometri da Cagliari, nella casa di famiglia. Deve ringraziare la sorella Augusta che non ha mai creduto alla sua colpevolezza e lo ha aiutato, insieme al marito, una volta uscito di prigione perché “senza di loro, una volta uscito dal carcere sarei stato un delinquente in più, perché non avevo nulla”.
Il ritorno in carcere e la notizia: “Ha da fare?”
Zuncheddu racconta cosa successe un anno fa quando “ero appena rientrato dal bar Le Bon Bec, dove lavoravo a Cagliari. Avevo finito il turno alle 12.30, poi avevo preso due pullman per tornare in carcere a Uta. Ho mangiato qualcosa e mi sono messo a fare quattro passi in corridoio”. Poi un agente penitenziario si avvicinò e “mi chiese: “Zuncheddu, ha da fare?”. Pensai che mi stesse rifilando un lavoro. E invece aggiunse: “Si prenda la roba che è arrivato il foglio di scarcerazione”. Gli dissi di non giocare con i miei sentimenti”. Nel giro di pochi minuti raccolse tutte le sue cose in due buste della spesa poi, incredulo, decise di uscire “senza salutare nessuno, prima che cambiassero idea. Fuori soffiava vento, c’era freddo, ma io ho continuato a camminare: volevo allontanarmi il più possibile dal carcere”. Una libertà quasi insperata, ritrovata 33 anni dopo. Venne arrestato quando non aveva ancora 27 anni, rilasciato a 60.
“I miei amici hanno famiglia, per me è tardi”
Oggi il suo più grande rammarico è quello di non poter avere dei figli, una famiglia. E’ un “pensionato senza pensione, faccio qualcosa qui a casa, poi esco, vado ad aiutare mio fratello Damiano con le pecore…” ma è quando vede gli amici di sempre che ricorda l’abisso che c’è con loro. “Ora hanno una famiglia”. Lui invece sognava “una famiglia con figli e nipoti” ma “per quello è troppo tardi”. Al Corriere racconta che dopo l’uscita dal carcere non ha rivisto le “persone dell’ingiustizia”, da Luigi Pinna, il sopravvissuto alla strage che con la sua falsa testimonianza incastrò Zuncheddu, a Mario Uda, il poliziotto che aveva mostrato a Pinna la sua foto prima del riconoscimento.
“Meloni da Chico Forti, a me neanche biglietto”
Così come non ha ricevuto messaggi dalle più alte cariche dello stato: “Giorgia Meloni è andata ad accogliere Chico Forti che tornava dall’America, ma a me non ha scritto neanche un biglietto. Mi sarebbe piaciuto riceverne uno da Mattarella”. Adesso aspetta il risarcimento per i 33 anni di ingiusta detenzione, anche per pagare i debiti, in primis quelli con il suo avvocato, Mauro Trogu, che l’ha difeso pro bono. “Nessun risarcimento sarà mai abbastanza: ho vissuto più dentro il carcere che fuori. Con quei soldi devo togliere subito i debiti e l’avvocato è in cima ai miei pensieri. Poi ci sono i periti che hanno lavorato gratis, e mia sorella e suo marito, che stanno continuando a prendersi cura di me”. Il suo sogno, se dovessero avanzare soldi, è quello di “aprire un caseificio in paese. Ma non tanto per me: lo vorrei fare per dare lavoro ai giovani”.
Il film sul suo orrore: “Spero attore parli con accento sardo”
In merito ai 33 anni vissuti in tre carceri diverse, Cagliari, Nuovo e Uta, Zuncheddu spiega che era inutile lasciarsi sopraffare dalla rabbia: “Pensavo: se sbatto la testa al muro poi la testa si rompe e il muro resta come è”. Ad aiutarlo è stata la fede grazie alla quale ha convinto un compagno di cella a smettere di drogarsi assumendo metadone: “Ha avuto le crisi di astinenza e poi non le ha avute più. Sua madre mi ha telefonato per ringraziarmi”.
Adesso dopo l’uscita del suo libro (“Io sono innocente. Storia di un uomo incarcerato ingiustamente per 33 anni e dell’avvocato che ha lottato per la sua libertà”, scritto con il legale Trogu), presto sarà girato un film sulla sua storia. “E’ venuto il regista con gli sceneggiatori. Hanno fatto il sopralluogo in campagna”. Preferenze sull’attore che lo interpreterà? “Eh, non sono pratico. Speriamo che riesca a parlare con l’accento sardo“.
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