Cos’è lo Stato di Arbitrio, se non quello in cui i reati sono vaghi e indefiniti, dove l’abuso d’ufficio si tiene per mano con il concorso esterno in mafia, la concussione ambientale e il traffico di influenze illecite? Dove un Consiglio comunale può essere sciolto dal tratto di penna di un prefetto? Dove spesso il carcere non è l’esito ma la premessa di un’accusa? Dove la vita privata degli innocenti è merce buona per sputtanamenti, ricatti e scandali? Dove un processo guarda l’eterno, perché anche essere assolti in secondo grado può non bastare? E di cosa c’era bisogno, ancora, per capire di aver passato il segno, dopo tre decenni di fumo e di gogna, dopo 5000 accuse all’anno di abuso d’ufficio che finivano nel nulla, dopo la paralisi delle attività pubbliche dovuta al terrore di firmare un atto, dopo paginate di intercettazioni buone solo a eccitare i guardoni, dopo le umilianti censure della Corte di giustizia europea?

Le domande finiscono qui. Perché oggi c’è una prima risposta. Non è il caso di scomodare paroloni come svolta storica. La riforma Nordio è solo un passo iniziale, il minimo sindacale della civiltà giuridica. Però è un passo solido e coerente. È una svolta culturale, questo sì. Perché finalmente si esce dalla dannazione italiana del tiro al piccione contro la politica, dal cono d’ombra della presunzione di colpevolezza e dei processi mediatici e di piazza.

Perché si tutelano insieme la rappresentanza democratica e i cittadini che hanno diritto a una pubblica amministrazione efficiente. E mentre si spuntano le unghie a certe toghe-primedonne, si porta beneficio alla gran parte della magistratura italiana, che agisce senza altri fini che il rispetto delle norme e il rigore delle inchieste e delle prove.

Un giorno qualcuno si interrogherà sull’oscuro periodo in cui in Italia si difendeva un articolo del codice penale (il 323) non in quanto proteggeva la collettività da reati, ma in quanto – secondo i suoi tifosi – permetteva di scoprirne altri. Il “reato spia”, le intercettazioni sul privato dei “terzi estranei”, il “processo a vita” dove sono appellabili dal pm persino le assoluzioni in appello, le carcerazioni prima anche di essere interrogati sono distorsioni della logica e non solo del diritto.

Oggi finiscono in soffitta, grazie a un ex pm che ha un’idea ben precisa dell’equilibrio dei poteri, della reputazione delle persone e del ruolo della pubblica accusa.
P.S. Italia Viva e Azione hanno votato per questa riforma. Ulteriore conferma che il riformismo delle idee funziona, al contrario di quello delle formule e dei personalismi.

Sergio Talamo

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