Bravo ministro Nordio. La prima riforma della giustizia è fatta. E bravo Parlamento, perché alla Camera i voti a favore sono stati il doppio di quelli contrari. Pollice verso alle donne e agli uomini del Pd, che una volta di più si sono fatti rappresentare sulla giustizia dal partito di Travaglio, plasticamente rappresentato in aula dall’ex magistrato Federico Cafiero de Raho.
Con 199 voti favorevoli, di maggioranza ma anche di Azione, Italia Viva e +Europa e 102 contrari di Pd, Movimento cinque stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, la riforma Nordio è diventata legge dello Stato. Non è una rivoluzione copernicana, ma è un buon punto di partenza, che qualifica questo ministro e questo governo come riformatori.

Populismo giudiziario più forte dei sindaci di sinistra

Il “populismo giudiziario” con le sue forche da appendere al palo più alto, a qualcuno potrà sembrare paradossale, ma rimane appannaggio della sinistra. Nonostante sul punto più clamoroso della riforma, l’abolizione dell’articolo 323 sull’abuso d’ufficio, si fossero pronunciati a favore numerosi sindaci di sinistra che avevano vissuto sulla propria pelle o su quella di colleghi loro vicini che cosa vuol dire vedere la propria vita, la propria reputazione e il proprio percorso politico distrutti per una falsa accusa di un reato impalpabile. E soprattutto per il malefico circuito informazione di garanzia-intercettazioni-sputtanamento sui giornali, che è peggio di una ragnatela che ti avvolge, ti soffoca e ti impedisce di liberartene anche dopo l’assoluzione.

Stop la principio diabolico del fine che giustifica il mezzo

Un circuito che evidentemente piaceva invece moltissimo a un ex alto magistrato come Federico Cafiero de Raho, che è stato procuratore nazionale antimafia ed è stato accolto in Parlamento dal Movimento cinque stelle. Dato il suo passato dal suo intervento ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa di più. Invece i concetti sono sempre i soliti due, e non certo elevati. La tiritera del favore che sarebbe stato elargito ai “colletti bianchi”, prima di tutto, come se a parlare fosse stato il segretario della Cgil. E poi il concetto, preoccupante per i princìpi dello Stato di diritto, del “reato spia”, cioè la contestazione di un reato magari inesistente come l’abuso d’ufficio per mettere le mani su una persona sospettata di reati più gravi come la corruzione o l’associazione mafiosa. Il che lancia una luce sinistra sulla correttezza dei pubblici ministeri. La cui attività viene descritta come maneggiona e prona al principio diabolico del fine che giustifica il mezzo.

E anche a quell’altro violento strappo rispetto alle garanzie che dovrebbero tutelare ogni individuo, che è la costruzione del “tipo d’autore”. Per cui individui una persona che ha le caratteristiche per commettere un determinato reato e stabilisci che lo ripeterà per tutta la vita. È un po’ quel che sta succedendo al governatore della Liguria Giovanni Toti, destinato secondo l’accusa, e anche secondo la gip, a farsi corrompere a ogni tornata elettorale futura, anche quella in cui, come alle scorse elezioni europee, non compare la sua lista.

Riforma giustizia: cosa cambia

Proprio a proposito dell’inchiesta genovese, sono notevoli le modifiche introdotte dalla riforma sulla custodia cautelare. Anche se, purtroppo, si dovrà attendere l’assunzione di nuovi giudici, perché questa parte della legge possa entrare in vigore. Si tratta di conferire non più a un solo gip ma a un vero collegio di tre magistrati, cioè a un tribunale, il compito di emettere l’ordinanza.
Il che, come si può immaginare, renderà la vita difficile soprattutto ai distretti dei tribunali più piccoli. Anche perché, proprio come avviene oggi per il giudice delle indagini preliminari e quello dell’udienza che non possono essere la stessa persona, la stessa differenziazione sarà obbligatoria rispetto al tribunale del riesame. Ma, sempre in riferimento a quello che sta accadendo a Genova, un altro punto della riforma è fortemente innovativo, quello che riguarda una precisa condizione che sta alla base della possibilità di custodia cautelare, il rischio di “reiterazione del reato”. Una norma di dubbia costituzionalità, perché in contrasto con il principio di innocenza previsto dall’articolo 27. Qualora il giudice intenda emettere l’ordinanza di custodia cautelare esclusivamente basata su questo tipo di pericolo, sarà in futuro obbligato a convocare la persona indagata prima di emettere il provvedimento. È chiaro che il giudice sarà in un certo senso messo alla prova, con questo punto della riforma. Nel caso Toti, per esempio, è vero che ogni richiesta di revoca degli arresti domiciliari è stata respinta anche con la motivazione del pericolo di inquinamento delle prove. Ma è ancora più vero che la giudice Paola Faggioni ha in due occasioni sottolineato soprattutto il rischio di reiterazione del reato nelle diverse tornate elettorali del futuro.

Riforma giustizia: le noti dolenti

Senza voler rompere il momento di soddisfazione, meritata non solo dal guardasigilli Nordio ma anche dal suo vice Francesco Sisto, nato e cresciuto politicamente nell’alveo di Forza Italia, dobbiamo però insistere su un punto dolente, denunciato dalle Camere penali e non solo, come mancanza di coraggio. Ed è quel vulnus tutto italiano che consente alla pubblica accusa di inseguire l’imputato già assolto al processo di primo grado all’infinito, all’appello e persino fino alla cassazione. È vero che il primo tentativo di impedire questa possibilità per il pm, che è un vero affronto allo Stato di diritto, con la famosa “legge Pecorella”, aveva trovato un muro nella Corte Costituzionale. Ma erano altri tempi e un’altra Consulta. Soprattutto con qualche piccola modifica formale si sarebbe potuto tentare di riproporla. Invece la piccola modifica solo per reati minori sembra non più di un graffio nel granito.

Riforma giustizia: limiti alle intercettazioni, cosa succede

Non così l’intervento sulle intercettazioni, su cui la riforma ha dato il meglio di sé. Perché l’articolo 2 della norma interviene sia sulle modalità di acquisizione che sulla fase della pubblicazione. Su questo secondo fronte l’ambizione è di cambiare il sistema della cronaca giudiziaria che spesso produce danni su persone estranee all’inchiesta. Si potranno pubblicare solo le intercettazioni contenute nell’ordinanza, e mai i riferimenti a terze persone. Se Tizio parla con Caio di Sempronio, salviamo almeno quest’ultimo, dice Nordio. Divieto assoluto di intercettare i colloqui tra gli indagati e i loro difensori. Che dovrebbe essere talmente ovvio da non necessitare di essere inserito in una norma. Il primo passo è fatto, attendiamo il seguito, ministro Nordio.

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.