Una volta c’era il bravo Alberto Rizzo, ex presidente del tribunale di Vicenza, toga esperta e ben tagliata per fare il capo di gabinetto di via Arenula, quel ministero che, affidato alle mani di Carlo Nordio, doveva segnare il prima e il dopo nella storia della giustizia italiana separando una volta per tutte le carriere dei pm da quelle dei giudici. È nel programma di centrodestra, tre partiti, tre riforme definite “epocali”: l’autonomia differenziata per la Lega, il premierato per Meloni, la giustizia, ovvero la separazione delle carriere per i magistrati.

Però Rizzo a fine febbraio ha fatto gli scatoloni, “arrivederci e grazie ma non ce la faccio più”. Ha chiesto di tornare in ruolo, a fare il magistrato, con via Arenula ha chiuso. Motivo? Basta con “lo strapotere” di quella collega scelta come sua vice capo di gabinetto e invece nei fatti sempre più padrona del ministero e dell’agenda del ministro. Nordio blindato, dicono fonti di via Arenula, “da tre donne, la vice capo di gabinetto Giusi Bartolozzi, la capa della segreteria Giuseppina Rubinetti e la segretaria particolare Valentina Noce”. Così Izzo se n’è andato, la sedia è vuota e in questo mese “la Giusi ha assunto le funzioni da vicario e ora proprio comanda lei”.
Ci sarebbe lei dietro il suggerimento al Guardasigilli di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso dossier e accesi abusivi che ha fatto saltare i nervi alla premier e rischia, tra i vari effetti collaterali, di provocare altre tensioni e veleni tra le toghe. Ci sarebbe lei, “la Giusi”, dietro la sollecitazione a Nordio di alzare la voce rispetto a quei due “inaffidabili” – erano i tempi del caso Cospito – del sottosegretario Delmastro e il capo dell’organizzazione del partito Giovanni Donzelli. I due – erano i primi mesi di vita del governo – confusero gli atti riservati di via Arenula per delle veline da bar e Donzelli le spiattellò in Parlamento.

E ci sarebbe di nuovo lei, “la Giusi”, dietro l’invio degli ispettori ministeriali alla procura di Milano dopo la fuga di Artem Uss, la spia russa in attesa di estradizione negli Usa, nel frattempo arrestata in Italia (ai domiciliari) e per l’appunto evasa appena saputo che era arrivato il via libera all’estradizione. E ci sarebbe sempre “la Giusi” dietro i provvedimenti di legge che vanno, vengono, spariscono nei cassetti. A dispetto, anche e talvolta, di palazzo Chigi. Si dice che la riforma Cartabia sui “fuori ruolo” sia stata annacquata così. Il risultato finale è stato ridicolo: su 200 magistrati fuori, sparsi nei vari uffici ministeriali invece che a scrivere sentenze e a fare indagini, ne tornerebbero in ufficio 20.
Fedele interprete del volere del ministro, “è sempre stata il vero capo di gabinetto di Nordio”. Un rapporto fiduciario nato in giro per l’Italia, durante convegni e seminari, che la giudice siciliana ha saputo coltivare ben prima che Nordio entrasse nelle grazie di Giorgia Meloni. La litigata con Berlusconi, quella per cui il Cavaliere scrisse il famoso appunto (“Giorgia è arrogante e villana”), fu scatenata proprio da Nordio: Berlusconi voleva Casellati in via Arenula, Meloni blindò Nordio. E non ci fu verso di farle cambiare idea.

Giuseppa Lara Bartolozzi detta Giusi, quindi. Poco più che cinquantenne, in forza al tribunale di Gela, di Palermo e poi anche in Corte d’Appello a Roma, infine parlamentare nei banchi di Forza Italia tra il 2018 e il 2022. Nell’ultimo anno di legislatura andò nel Misto perché il gruppo di Forza Italia la sostituì in Commissione su un voto importante in cui lei avrebbe votato in dissenso dal gruppo. La mattina dopo lasciò Forza Italia. La Giusi è una tipina così, insomma. “Una gran lavoratrice, senza dubbio, competente, tosta e anche un po’ rigida”, dice con affetto chi la conosce bene. Rispetto a Forza Italia, che comunque le aprì le porte del Parlamento, ad esempio pare non abbia mai dimenticato qualche “torto” inflitto dal partito al compagno Gaetano Armao, braccio destro di Musumeci nella giunta siciliana.
Palazzo Chigi ha alzato le orecchie da tempo, erano giunte eco e voci di colei che è stata ribattezzata “la ministra occulta” di via Arenula. Alla premier non dispiace affatto il potere femminile. Il problema è che Nordio va spesso, secondo palazzo Chigi (e magari i resoconti che fa Delmastro), fuori controllo. Anche mercoledì, dopo aver spiegato di mattina che tra lui e la premier c’è grande intesa sui temi e sul programma, nel pomeriggio in un convegno sì è lasciato andare ad un amaro sfogo: “Quello della giustizia è un ministro importante nella forma e non gradito nella sostanza”.

Qualche ora prima, a colloquio con i vertici degli uffici giudiziari di Roma, era stato, come al solito frainteso: “Non ho mai detto di non avere risorse sufficienti. Ho detto che per cinquant’anni le risorse a nostra disposizione sono state insufficienti mentre adesso lo sono”. E dire che poche ore prima Nordio e Meloni erano stati fotografati sorridenti uno accanto all’altro all’Aula dei gruppi alla Camera per il convegno sul fisco.
Insomma, Nordio c’è o ci fa a seminare zizzania tra via Arenula e palazzo Chigi? I più buoni dicono che è solo disabitudine al ruolo del politico. I più cattivi, dentro Fratelli d’Italia, lo definiscono ormai “l’infiltrato”. La premier, che pure lottò coltello tra i denti per lui, sarebbe in difficoltà. Difficile sostituirlo. Urge però mettere le mani su via Arenula. L’uomo giusto ci sarebbe eccome: Alfredo Mantovano, magistrato di Cassazione, che però è altrettanto prezioso nel ruolo di “Cavour” a palazzo Chigi dove, diciamo così, i moderati abituati alle trattative scarseggiano. L’altra via è un nuovo e potente capo di gabinetto, uno che ristabilisca ruoli e competenze. Anche della Bartolozzi. Al posto di Rizzo è girato il nome di Claudio Galoppi ma è appena diventato segretario di Mi e non sarebbe corretto, metterebbe in difficoltà il gruppo che ha la maggioranza al Csm. Tra i papabili gira con forza il nome di Alessio Scarcella, già capo dell’Ufficio per l’attività internazionale ai tempi del ministro Severino, ora in forza alla Terza sezione penale della Cassazione.

Intanto ieri mattina è saltata nuovamente la discussione in Commissione Affari costituzionali della Camera del ddl costituzionale presentato dal Parlamento sulla separazione delle carriere. Non il testo del governo e di Nordio che, per quanto promesso, non è mai stato scritto. È quello del Parlamento. Doveva andare in aula il 25 marzo. E qui è più difficile dire se sia “colpa” di Nordio, della Bartolozzi o di Giorgia Meloni che non vuole disturbare il cammino della sua riforma, il premierato.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.