Il politologo Fabrizio Tassinari è direttore esecutivo fondatore della Scuola di governance transnazionale all’Istituto europeo di Firenze. È anche saggista ed editorialista su temi relativi alla geopolitica e alla politica estera.

Nel tuo pezzo di ieri hai scritto di aver lavorato «fianco a fianco» per diversi anni con Alexander Stubb, il presidente finlandese incluso tra i sette leader europei che erano alla Casa Bianca lunedì per negoziare sull’Ucraina. Chi è Stubb?
«Stubb è uno statista un po’ atipico. Non un politico di professione, seppur abbia a mia memoria partecipato a cinque o sei elezioni, tra nazionali ed europee, e abbia fatto di tutto prima di diventare presidente: da primo ministro a ministro degli Esteri. Ma si autodefinisce un nerd, un secchione di affari europei, con una solida preparazione accademica e decine di libri e articoli a suo nome. Sicuramente è anche un networker formidabile e un grande comunicatore, caratteristica inusuale per i finlandesi che sono notoriamente taciturni».

Perché è stato invitato a Washington?
«Lui alla Casa Bianca ha detto che è stato invitato perché la Finlandia ha 1.300 chilometri di confine con la Russia e una lunga e dolorosa storia di relazioni con Mosca, e questo sicuramente è vero. Ma la Finlandia o nessuno degli altri Paesi più piccoli dell’Europa sarebbe stato probabilmente invitato se non fosse stato per lui. È molto autorevole su questi temi ed estremamente efficace nel sintetizzare posizioni diverse. Stubb, che fra l’altro è un triatleta semi-professionista, si è guadagnato la fiducia di Trump giocando a golf con lui».

Come ha inciso questa vicinanza sulle posizioni di Trump?
«Sulla Russia, Stubb è un falco che non si fa nessuna illusione sulle intenzioni di Putin. Se Trump nelle ultime settimane aveva riequilibrato un po’ le sue posizioni e paventato sanzioni anche secondarie all’India che acquista il petrolio russo, questo è stato anche grazie a Stubb che lo ha consigliato. Poi però è arrivato il vertice in Alaska. Detto questo, Stubb è anche un uomo molto pragmatico: il fatto stesso che sia così vicino a Trump, anche se non potrebbe essere più diverso da lui per formazione e princìpi, ne è la riprova. Sa che a Trump piace essere adulato per ottenere quello che vuole».

Potrà avere un impatto sui futuri negoziati?
«Sicuramente sì. Come detto, Stubb ha una capacità innata di comunicazione e sintesi. Ma queste qualità non saranno necessarie solo nei confronti di Trump o dei due contendenti, Putin e Zelensky, ma soprattutto all’interno dell’Europa. Come spiegavo nell’articolo di ieri, è difficile dire se uscirà qualcosa di buono dal vertice di lunedì, ma certamente uno dei risultati meno ovvi e scontati è stato quello di compattare l’Europa a difesa dell’Ucraina. Si può stare certi che Stubb influirà su questo».

E voi come vi siete conosciuti?
«Non tutti sanno che Stubb ha trascorso a Firenze gli ultimi quattro anni prima di diventare presidente. Siamo stati chiamati entrambi, io da Berlino e lui da Helsinki, per lanciare e dirigere la nuova Scuola di governance transnazionale all’Istituto universitario europeo. La Scuola è un’istituzione di punta della Commissione europea, voluta per formare la prossima generazione di leader globali. Lui ne era il direttore, il volto pubblico e mediatico, e io il suo vice. Siamo partiti che eravamo una dozzina, quando è ripartito per Helsinki eravamo circa 300. In stile egalitario scandinavo, non ha mai voluto un suo ufficio, quindi ne abbiamo condiviso uno per tutto il tempo, anche durante la pandemia. È piuttosto surreale ora vederlo nello Studio ovale».

Alessia Petrelluzzi

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