Il giorno dopo la visita in Israele e Cisgiordania del segretario di Stato Anthony Blinken, gli Stati Uniti hanno ucciso in Iraq uno dei più importanti comandanti di Kataib Hezbollah. Un colpo condotto con un drone nel quartiere sciita di Baghdad, e che secondo il Comando Centrale degli Stati Uniti ha ucciso uno dei responsabili “degli attacchi contro le forze americane nella regione”. Nelle ore successive, è stato poi reso noto che il nome dell’alto esponente di Kataib Hezbollah morto nel raid: Wisam Mohammed Saber al-Saedi, che la stessa milizia sciita ha voluto ricordare con una nota ufficiale dicendo che la sua morte “invita a rimanere fermi nell’approccio jihadista”.

Il ruolo di Kataib Hezbollah in Iraq

La sigla paramilitare è uno dei più importanti strumenti di influenza dell’Iran nella regione. Ed è diventata, specialmente nel corso degli ultimi mesi, uno dei problemi strategici della Casa Bianca. Kataib Hezbollah, in questi anni, ha aumentato la propria influenza in Iraq penetrando anche nel sistema di potere di Baghdad. Ma dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, il suo ruolo è stato anche quello di minacciare e colpire il contingente americano presente in Iraq e quello che si trova a ridosso del confine siriano. Per Washington, questa forza si è rivelata una vera e propria spina nel fianco. Da un lato perché ha saputo mettere in pericolo i militari impegnati in Iraq. Dall’altro lato, perché l’escalation ha ampliato le divergenze tra il governo di Bagdad e Washington, come dimostrato anche dalle reazioni del governo iracheno dopo il raid della scorsa notte.

I rapporti tesi tra Usa e Iraq dopo la vendetta americana

Il generale Yehia Rasool, portavoce militare del primo ministro, ha detto che questa strada intrapresa dal Pentagono “spinge più che mai il governo iracheno a porre fine alla missione di questa coalizione, che è diventata un fattore di instabilità in Iraq, e minaccia di trascinare l’Iraq in un conflitto regionale”. E tutto questo avviene mentre il governo di Baghdad ha già iniziato, di concerto con Washington, un dialogo per ridurre in maniera graduale il numero di soldati americani di stanza nel Paese. La diffidenza tra le due amministrazioni non è secondaria nelle logiche statunitensi in Medio Oriente. Ed è anche su questo aspetto che sta spingendo l’Iran, desideroso di vedere i militari Usa sempre più distanti dai suoi confini. L’allarme è risuonato da tempo nei corridoi della Casa Bianca. Ed è anche per questo che il presidente Joe Biden ha attivato tutti i suoi canali diplomatici.

Le milizie filoiraniane: ci fermeremo solo con stop guerra Gaza

Ma per arrivare a una riduzione delle tensioni è necessario passare per uno step che a questo punto diventa sempre più urgente: la fine della guerra nella Striscia di Gaza. Elemento che tutte le milizie filoiraniane ritengono condizione imprescindibile per lo stop ai loro attacchi, dallo Yemen alla Siria, dall’Iraq al Libano, dove ieri, nella città di Nabatieh, un attacco israeliano ha ucciso un importante comandante di Hezbollah legato ai Pasdaran iraniani. La strada per la fine delle ostilità risulta però ancora in salita. Dopo la brusca frenata ai negoziati con Hamas annunciata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il timore è che le forze armate dello Stato ebraico stiano ora definitivamente puntando su Rafah. Secondo i funzionari israeliani, è quella l’ultima roccaforte di Hamas nel sud della Striscia.

Israele e la battaglia decisiva a Rafah

Ma la preoccupazione della comunità internazionale è dovuta al fatto che Rafah è diventata in questi mesi anche il luogo dove ha trovato rifugio quasi metà della popolazione dell’exclave palestinese. Secondo gli esperti, Hamas ha tutto l’interesse a controllare la città, sia perché così monitora il passaggio degli aiuti umanitari che entrano dall’Egitto, sia perché ora può sfruttare centinaia di migliaia di civili come garanzia che le Israel defense forces non bombardino indiscriminatamente. Sia gli Usa che le Nazioni Unite stanno premendo su Netanyahu affinché eviti l’offensiva. Ma le parole dell’ultima conferenza stampa fanno credere che l’esercito israeliano sia pronto a quella che potrebbe essere la battaglia decisiva contro Hamas. Una minaccia che però potrebbe anche essere una leva per far sì che l’organizzazione palestinese tratti una tregua e la liberazione degli ostaggi con condizioni che Israele può ritenere accettabili. Ieri il gabinetto di guerra israeliano si è nuovamente riunito per discutere del negoziato mediato da Usa, Egitto e Qatar. Mentre una fonte di Hamas ha detto all’agenzia Afp che il gruppo “è aperto alla discussione e ansioso di raggiungere un cessate il fuoco