Blinken e la de-escalation Usa
Svolta ostaggi a Gaza, l’apertura di Hamas e il dolore di Israele: “Molti sono deceduti”
Intense trattative. Per il Qatar, la risposta è “in generale positiva”
Il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, prosegue il suo tour mediorientale. Dopo la prima tappa in Arabia Saudita, il capo della diplomazia Usa è stato in Egitto per poi fare rotta verso il Qatar. Un viaggio che culminerà oggi con gli incontri in Israele e in Cisgiordania e che ha un unico obiettivo: fare in modo che la guerra nella Striscia di Gaza non si estenda in tutta la regione. Per Blinken si tratta del quinto viaggio nella regione dopo lo scoppio del conflitto tra Hamas e Israele. E arriva in un momento in cui l’amministrazione Usa pretende che si raggiungano i primi risultati tangibili per una de-escalation sia nella Striscia di Gaza che nella regione.
Il tour del segretario di Stato avviene mentre sono in corso le difficili trattative sulla tregua e sulla liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Ostaggi che, secondo una rivelazione dell’intelligence israeliana al New York Times, dovrebbero essere almeno per un quinto deceduti durante la prigionia (32 sui 136 ancora sequestrati). Dopo l’incontro di Parigi tra gli intermediari di Stati Uniti, Israele, Qatar ed Egitto, le discussioni sono continuate per giorni. Ieri il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, ha fatto un annuncio importante, e cioè di avere ricevuto “una risposta da Hamas al quadro generale dell’accordo sugli ostaggi”. Una risposta che “in generale è positiva”, ha detto il premier di Doha, il quale però non ha voluto fornire ulteriori dettagli. “Chiediamo la fine dell’aggressione contro il nostro popolo, la garanzia della rimozione delle restrizioni e del blocco su Gaza, la riabilitazione e la ricostruzione della Striscia e il completo scambio di prigionieri”, ha detto Hamas in una dichiarazione ufficiale. Mentre Blinken, appresa la notizia, ha commentato dicendo che “c’è ancora molto lavoro da fare” ma di credere “che un accordo sia possibile, e anzi essenziale”. Ed è su questa base d’intesa che è pronto a discutere con il governo israeliano.
Ostaggi, Hamas apre ad un accordo secondo il Qatar
Lo spiraglio, per Washington, è essenziale. Soprattutto perché sul fronte regionale, l’escalation tra Iran e Stati Uniti è sempre più evidente e rischia di essere una realtà difficile da disinnescare. Nonostante gli attacchi punitivi ordinati dal presidente Joe Biden, la rete di forze legate a Teheran non ha interrotto la sua strategia, e non lo ha fatto nemmeno la Repubblica islamica. Gli Houthi, che da mesi incendiano il Mar Rosso con attacchi contro le navi che hanno rapporti con Israele o appartenenti a Usa e Gran Bretagna, hanno proseguito nei loro lanci di missili e droni. E ieri il leader Abdul-Malik al-Houthi si è rivolto allo Stato ebraico, agli Stati Uniti e al Regno Unito dicendo: “Qualunque cosa faccia il trio malvagio non influenzerà la nostra posizione né limiterà le nostre capacità e operazioni”. Il capo dei ribelli dello Yemen ha concluso che la sua milizia “continuerà a intensificare” le operazioni tra Golfo di Aden, Bab el-Mandeb e Mar Rosso se “l’aggressione israeliana a Gaza non si fermerà”. E sembra difficile credere che gli Houthi siano pronti a fermare un’escalation da cui hanno tratto un ruolo da protagonista dopo anni di oblio. In Siria, invece, un raid che ha ucciso cinque soldati curdi delle Forze democratiche siriane nei pressi della base statunitense ad al-Omar, in Siria, è stato rivendicato dalla Resistenza islamica dell’Iraq. Una sigla che sta assumendo un ruolo sempre più attivo nella guerra a bassa intensità che questa costellazione di milizie combatte contro il contingente americano nella regione.
Mentre dal Libano, il governo sembra ancora restio ad accettare le condizioni della proposta per allontanare Hezbollah dai confini di Israele. I funzionari iraniani, dal canto loro, continuano a ribadire di non volere una guerra ma di essere pronti a tutelare i loro interessi rispetto ai desiderata di Washington. Il rappresentante di Teheran presso le Nazioni Unite, Saeed Irani, ha detto che “se l’Iran si trova ad affrontare qualsiasi minaccia, attacco o aggressione che metta in pericolo la sua sicurezza, i suoi interessi nazionali o il suo popolo, Teheran non esiterà a usare il suo diritto di rispondere con decisione in conformità con il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite”. E mentre il presidente Ebrahim Raisi, incontrando il ministro degli Esteri del Sudan, ha ricordato la volontà dell’Iran di allontanare i Paesi di fede musulmana da qualsiasi rapporto con Israele, i media locali hanno dato ampio risalto alle prossime esercitazioni navali congiunte tra Iran, Cina e Russia. Le manovre, che si terranno entro la fine di marzo, confermano la forte sinergia tra i tre Paesi, che già l’anno scorso, nello stesso periodo, avevano compiuto delle esercitazioni simili a largo dell’Oman. Per l’Occidente un segnale da non sottovalutare, dal momento che l’asse tra Mosca, Pechino e Teheran conferma l’esistenza di un blocco non solo politico ma anche militare che si muove sempre più in sintonia.
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