La recente modifica del Patto di stabilità e crescita della Ue porta con sé alcuni elementi di modifica strutturale della nostra politica economica, che al momento non sono ancora pienamente indagati e di cui non c’è ancora una road map non tanto di attuazione quanto di assimilazione, di consapevolezza. La regola imposta dall’Ue è abbastanza semplice: sulla base dell’avanzo primario, è fissato un limite di ricorso alla spesa per un periodo di 5 anni rispetto al quale valutare il sentiero di crescita del Pil reale di ciascuna economia europea. La pianificazione delle spese di medio periodo sarà presto una realtà. Entro la fine del 2024 il piano strutturale di Bilancio prevederà gli impegni e le spese per i prossimi 5 anni, fino al 2029, comprensivi dei limiti alla spesa primaria calcolata per annualità.

L’esame di condotta

È evidente l’impatto su settori pienamente alimentati dalla mano pubblica: il sentiero di aggiustamento di Bilancio, che per l’Italia è stato sempre abbastanza stretto, ora diventa “obbligatorio” e non più facoltativo proprio perché – una volta dichiarata la traiettoria del Bilancio per i successivi 5 anni – eventuali deviazioni da quella traiettoria vanno giustificate. Il complesso degli strumenti, ed è questa la vera novità, a disposizione di uno Stato (come le strategie fiscali, le entrate, le spese, il livello di tassazione, la politica per gli investimenti, le stesse riforme strutturali, tutto ciò che contribuisce al profilo della traiettoria) sarà sottoposto a una specie di esame di congruità rispetto alle promesse fatte. È evidente che la governabilità – quella che va comunemente intesa come durata della legislatura che nel passato in Italia ha visto avvicendarsi molti governi – non può più assumere un significato limitato alla durata in carica di un ministro, quanto alla tenuta delle politiche che sono state adottate nel passato dai suoi predecessori e quella del sistema democratico attraverso il Parlamento ed i suoi parlamentari.

Gli impatti della riforma

Se fino ad oggi la Legge di stabilità ha permesso la sopravvivenza di interessi più o meno di parte, nella nuova prospettiva si qualifica come un contenitore “tattico” delle strategie economiche adottate una volta per i successivi 5 anni. E detto per inciso: se il voto del Parlamento sulla manovra con la vecchia Legge di stabilità è avvenuta per unità di voto, in maniera direi settoriale, con la prossima si vota anche la politica economica quinquennale di tutta la Nazione. La riforma avrà impatti significativi anche sulla documentazione a evidenza pubblica fino a oggi utilizzata: potremmo dire addio alla Nota di aggiornamento al Def e ai suoi allegati, tra cui l’allegato infrastrutture che ha permesso la creazione di una “dote” inziale di 11 miliardi sui 26 per le ferrovie italiane. Sarà anticipato in estate (o verso la sua fine) dal Documento programmatico di Bilancio (DPB), il cui contento principe consiste in un aggiornamento delle previsioni macro e di Bilancio, le Indicazioni sulla manovra e l’elenco delle misure che il governo intende adottare con il disegno di legge di Bilancio.

Il punto dolente

Sulla base del 2023, anno base per il piano del 2024 con validità quinquennale, dovranno essere fissati gli obiettivi annuali in termini di tasso di crescita nominale. E qui veniamo a un punto dolente: quanto insiste sulle proiezioni di Bilancio e di politica invariata il Pnrr nella sua componente di impatto sulla spesa per investimenti? Se nel 2024 scriviamo un documento di Bilancio basato su dati di investimento del 2023 che avrà impatti sulle scelte di politica economica fino al 2029 (compreso) sembra lecito porsi alcune domande: quanto pesano eventi esogeni come le componenti della spesa primaria, derivanti da fattori di contesto geoeconomico attuale ma vigenti nel 2023 e delle relative spese militari? Quanto pesano eventi endogeni come le scelte in materia di autonomia differenziata assunta nel 2023 (anno in cui non esisteva nelle forme attuative odierne) e le spese connesse ai relativi Livelli essenziali di prestazione? Quanto pesa la legislazione vigente congelata al 2023 come le bassissime spese per il Pnrr assunte nel 2023 per la realizzazione degli investimenti previsti dal Piano?

Il momento delle indicazioni delle priorità

Su quest’ultimo punto: se redigere il documento programmatico di Bilancio del 2024 significa strutturare gli impegni anche dopo il 2026, nel 2027, 2028, 2029 hanno ancora senso tutte ma proprio tutte le scelte d’investimento indicate dal Pnrr? Più che un Piano – a cui molti settori industriali del paese sono ben abituati – si ha la sensazione che sia il momento delle indicazioni delle priorità, ma non degli oggetti, come quelli per esempio infrastrutturali, quanto delle politiche economiche da perseguire, comprese le riforme anche queste previste dal Pnrr.

Matilde Linanti

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