Politica
Lilli Gruber contro Giorgia Meloni, la polemica politica e la strumentalizzazione di una tragedia
Lo scontro tra la giornalista e la premier sulla “cultura patriarcale” e la maschilizzazione del ruolo di presidente del Consiglio di Meloni
La tragedia di una certa sinistra è che nella sua furia di reclamare diritti, rispetto, eguaglianza, finisce poi per dimenticarsi per via il senso del ridicolo andando a sbattere contro lo steccato dei propri pregiudizi ideologici. Spesso infatti basta un semplice articolo, una desinenza, un pronome per tracciare il solco che separa i buoni dai malvagi, i meritevoli dai reprobi, innescando reazioni stizzite e sarcastiche; ed è quanto avvenuto alla solonica Lilli Gruber che dal suo comodo salottino televisivo non ha mancato di lanciare l’ennesimo strale contro Giorgia Meloni.
L’affondo di Lilli Gruber
E con quale profondissima argomentazione l’ha voluto fare? Per via della ‘maschilizzazione’ della funzione esercitata, quella di Presidente del Consiglio che la Meloni ha chiesto di continuare a declinare, secondo la Gruber e altre ‘progressiste’, al maschile, segno evidente di una cultura patriarcale, oltre che ‘mistero della fede’. In realtà, con buona pace delle linguiste femministe intersezionali che ci hanno inflitto questa battaglia epocale sul e nel linguaggio, partorendo pure quella oscenità che è la schwa, il maschile di una funzione è del tutto neutro e non implica la maschilizzazione ontologica dell’individuo. Inutile girarci attorno e prenderci in giro, in questo caos osceno che va montando come circo funerario e come disgustosa strumentalizzazione che si va imbastendo sul corpo della povera Giulia, orma scomparsa come persona e trasformata in vessillo di parte, in un torrente di cortei, rumorosi commenti, ego-riferimento, scheletri nell’armadio nascosti di fretta negli armadi altrui, la polemica politica viene gettata nella mischia, per lavare l’onta, come tale viene vissuta da alcuni e da alcune, di avere un Presidente del Consiglio donna per la prima volta nella storia della Repubblica, donna sì ma di destra e quindi come tale un po’ meno donna.
La destra e il patriarcato
Perché questo, l’essere di destra, è il peccato genetico e metafisico imputato a Giorgia Meloni da quella stessa sinistra che si straccia le vesti per un insulto da strada ma tace davanti al vero patriarcato assassino che ha portato allo scempio di Saman Abbas, la cui tragica vicenda non sposa, per intuibili ragioni, il favore declamatorio di certo femminismo. Sin dalla sua elezione, alla Meloni è stato contestato che sì, certo, è donna biologica ma non basta essere donne, no, bisogna invece incarnare la bandiera santificante di un femminismo post-strutturalista, decostruente e militante, si devono cancellare gli articoli dietro cui si cela l’ombra malvagia del patriarcato, combattere spada in mano, più Murgia che non Eowyn, il maschio genocida, usando asterischi come fossero stelle danzanti e cancellando qualunque ipotesi di maschilizzazione delle cariche.
La risposta di Meloni
Ovviamente la Gruber è donna assai intelligente e sa perfettamente che la legittima scelta della Meloni di non voler declinare la carica attuale secondo i dogmatici enunciati di certe femministe non c’entra niente con la presunta introiezione di una cultura patriarcale. Quella della Gruber è piuttosto mera, spicciola polemica politica, a cui la Meloni stessa risponde con un eloquente post sui canali social rimarcando come la strumentalizzazione di una atroce tragedia per fare polemica politica sia qualcosa di inaudito e aggiungendo “la nuova bizzarra tesi sostenuta da Lilli Gruber nella sua trasmissione di ieri sera è che io sarei espressione di una cultura patriarcale. Come chiaramente si evince da questa foto che ritrae ben quattro generazioni di ‘cultura patriarcale’ della mia famiglia. Davvero senza parole”.
Il post è accompagnato da una foto che sarebbe senza dubbio alcuno piaciuta a Johann Jakob Bachofen, quattro generazioni della famiglia della Meloni tutte al femminile. Ma c’è da scommetterci, nemmeno questo basterà a placare il moto pavloviano del pregiudizio di certa sinistra, perché se sei fuori dal recinto della tribù dei buoni, del progressismo che strepita di ‘uomo nuovo’, rivoluzione culturale e altre amenità che quando sono state sperimentate nel corso della storia hanno portato tragedie inumane, sarai comunque considerata un po’ meno donna delle altre
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