Gli ucraini bombardano una nave russa nel Mediterraneo. La notizia è di quelle destinate a fare clamore, e proviene dall’agenzia Reuters che ha ottenuto l’informazione da un funzionario del servizio di sicurezza ucraino, lo Sbu. Anche il Mare nostrum entra così nel «grande gioco» della guerra russo-ucraina. E lo fa attraverso il suo più riconoscibile segno, i droni, secondo uno schema che ha già visto Kiev prevalere nella «battaglia del Mar Nero» dove negli ultimi tre anni gli ucraini hanno costretto la Marina russa a riparare nel mare d’Azov per evitare di veder colare a picco l’intera flotta (sono già oltre 15 i navigli russi distrutti o danneggiati dai droni di Kiev dall’inizio dell’invasione).

Stando alle informazioni sin qui ottenute, per la prima volta da quando Mosca ha invaso il territorio ucraino un gruppo di velivoli senza pilota ucraini ha centrato una petroliera della cosiddetta «flotta fantasma» russa nel cuore del Mar Mediterraneo, mentre navigava in acque internazionali, a oltre 2.000 chilometri dall’Ucraina. Per la precisione, si tratta della nave Qendil battente bandiera dell’Oman: è stata colpita mentre si trovava a circa metà strada tra la Sicilia e l’isola greca di Creta. I danni causati vengono definiti da Kiev «gravi», anche se in quel momento il naviglio non conteneva più il greggio russo (con ogni probabilità era di ritorno da una missione di contrabbando) e dunque il danno – almeno quello ambientale – sarebbe scongiurato, stando alle prime indiscrezioni.

È il secondo caso clamoroso quest’anno che certifica l’esistenza di attività militari russe sotto mentite spoglie, avvenute lontano dal teatro di guerra principale. Solo un mese e mezzo fa, il 2 ottobre, un raid della marina francese aveva portato all’arresto del capitano e del primo ufficiale della petroliera denominata Boracay, intercettata e dirottata verso Saint-Nazaire, nella Francia occidentale, dopo che era salpata dal terminal russo di Primorsk, vicino a San Pietroburgo, con a bordo 750.000 barili di greggio, diretta verso Vadinar, India. Ma la Boracay in realtà è stata fermata per un altro motivo, ovvero la sua navigazione sospetta intorno alla Danimarca: secondo gli esperti navali, è tra i principali sospettati degli incidenti con i droni che il 22 settembre hanno costretto l’aeroporto di Copenaghen alla chiusura temporanea. Le autorità francesi non hanno per il momento chiarito se la Boracay abbia davvero fatto da base di lancio per i droni. Fatto sta che proprio in quel periodo, come più volte denunciato dalle autorità europee, altre azioni di disturbo hanno interessato droni russi non autorizzati, intercettati mentre sorvolavano i cieli polacchi e bucavano lo spazio aereo estone. Una tattica che, secondo il premier polacco Donald Tusk, è finalizzata a «testare la reazione degli occidentali con operazioni ibride a rischio limitato».

Diverse inchieste hanno già dimostrato l’esistenza di una «flotta fantasma» composta da navi russe che ufficialmente battono bandiere di Paesi extra-Ue. Il loro compito, dato che le navi «ufficiali» della Federazione Russa sono tenute alla fonda a causa delle sanzioni internazionali, è solitamente quello di continuare a consegnare il greggio russo sotto costo aggirando le sanzioni, per garantire a Mosca introiti non tracciabili ma funzionali ad alimentare la sua sempre più onerosa economia di guerra. Parliamo di qualcosa come 500 vecchie petroliere con proprietà poco chiare e assicuratori oscuri, che si occupano del trasporto di greggio russo principalmente verso i porti asiatici.
Come ha notato Michelle Wiese Bockmann, analista d’intelligence marittima britannica, «se la tua petroliera è registrata a Panama, la tua società di comodo con una sola nave ha sede in Liberia, il tuo gestore navale si trova in un centro commerciale in India, hai un equipaggio filippino sottopagato, fai scalo in Russia e scarichi in Cina, e utilizzi una compagnia di assicurazione poco affidabile con sede alle Seychelles, come puoi pensare di rispettare qualsiasi forma di regolamentazione internazionale, nonostante tutte le norme e le convenzioni esistenti?».

Soprattutto, viene da chiedersi, come si può fermare questo traffico illegale che avviene in modo del tutto impunito sotto il nostro naso? A questa domanda sembra oggi voler rispondere Kiev, che pare abbia ampliato lo spettro delle operazioni d’intelligence militare anche in Europa, in quella che credevamo essere un’area protetta, e che invece è sempre più infestata da operazioni militari e d’intelligence sotto falsa bandiera. È questo che ci aspetta nel 2026?