“È stata firmata al Ministero delle Imprese e del Made in Italy da tutte le amministrazioni nazionali e locali l’intesa sulla decarbonizzazione degli impianti della ex ILVA di Taranto”. Questo il comunicato stampa diffuso il 12 agosto scorso che, tuttavia, non indica i tempi della riconversione ecologica del sito, né l’ubicazione degli impianti per alimentare i nuovi forni elettrici. Una decisione rimandata a una nuova riunione dopo il 15 settembre, termine ultimo per la presentazione delle offerte vincolanti.

Di comunicati ne ho conservati ben 26, prodotti sin dal 2018, anno di insediamento del Governo Conte 1 e quindi con il Ministro Luigi Di Maio all’allora Dicastero dello Sviluppo Economico, e posso assicurare che sono praticamente identici e condivisi sempre quasi da tutti (Regione, Comune e Sindacati). Ma c’è un fatto nuovo: finalmente il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, anche se in modo riservato, rispondendo ad una domanda sempre del Sindacato sul costo della possibile rivisitazione integrale del centro siderurgico ha detto, ripeto a porte chiuse, che servono almeno 10 miliardi di euro. L’unico elemento nuovo, emerso nell’incontro del 12 agosto al Ministero, è quello relativo alla dichiarazione del Sindacato sulla concreta attuazione del cosiddetto “Piano Urso” e cioè: “il Piano è irrealizzabile già nella fase 1, in particolare i 6 milioni di tonnellate di acciaio da produrre nel 2026 con tre alto forni che crollano a picco rimane solo un dato utopico”.

Penso però che la Premier Meloni non accetti che, proprio nel penultimo anno della attuale Legislatura, esploda quella che ho più volte definito “la bomba sociale di Taranto”. Non credo che questa kafkiana storia di attese e di rinvii non sia oggetto di un concreto allarme all’interno dell’attuale maggioranza politica. Per questo insisto e indico quattro distinte azioni:
1. Serve un intervento diretto dello Stato. E poi, subito e solo dopo aver attuato un organico risanamento, procedere al coinvolgimento di privati
2. Nel Disegno di Legge di Stabilità 2026, sì quello in corso di preparazione, occorre stanziare un volano di risorse pari a 5,2 miliardi di euro articolato nel triennio 2026, 2027, 2028
3. Nella Legge andrà distinto l’investimento per il riassetto funzionale del centro siderurgico pari a 4 miliardi di euro dall’investimento per la riqualificazione capillare dell’intero hinterland del valore di 1,2 miliardi di euro
4. Nella Legge andrà garantito il concreto completamento dell’asseto logistico del nodo di Taranto, quali il prolungamento fino a Taranto dell’autostrada e il completamento funzionale della interazione tra la rete ferroviaria ed il porto (azioni da imporre nel Contratto di Programma della concessionaria autostradale e nel Contratto di Programma di Rete Ferroviaria Italiana).

In assenza di simili azioni, fra 6-7 mesi leggeremo il ventisettesimo comunicato stampa, identico a quello del 12 agosto scorso ma al tempo stesso assisteremo ad un fatto nuovo: il centro siderurgico di Taranto sarà diventato in modo irreversibile un sito di archeologia industriale.