I commissari Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta e Davide Tabarelli annunceranno a breve chi sarà il vincitore della gara per aggiudicarsi il polo siderurgico che vede nell’impianto di Taranto il suo asset principale. La speranza è che si arrivi una volta per tutte a una soluzione strutturale e che l’acciaieria possa finalmente intraprendere un graduale ma deciso rilancio.

Secondo le indiscrezioni di stampa circolate recentemente, anche nel secondo round di presentazione delle offerte quella presentata dagli azeri di Baku Steel è risultata quella più cospicua: da 450 milioni a circa un miliardo di euro (considerando anche i 500 milioni di valore di magazzino in dote all’ex Ilva). Meno ricca risulterebbe invece l’offerta del gruppo indiano Jindal Steel international passata da 80 a circa 200 milioni, a cui si aggiungono oltre 2 miliardi di investimenti futuri. L’obiettivo è chiudere entro marzo per far ripartire la nuova azienda già a giugno. La strada sembrerebbe tracciata dunque. Tuttavia vi sono alcune criticità riguardo l’offerta azera che dovranno essere affrontate. Vi è innanzitutto una questione legata alla tecnologia: Baku Steel è specializzata nella produzione di acciaio a forno elettrico ad arco (EAF), e non in quella ad altoforno, come Taranto.

Certo se le normative green europee rimarranno invariate, l’intera produzione siderurgica europea dovrà virare al forno elettrico. Ma, almeno fino al 2030, è lecito attendersi che l’altoforno rimanga in attività, tenuto anche conto della resistenza che stanno esercitando le acciaierie franco-tedesche per rinviare l’entrata in vigore del CBAM. La seconda criticità è sulla massa critica. Baku Steel produce in un anno circa 800 mila tonnellate: un livello questo lontano rispetto ai target produttivi per far tornare Taranto alla profittabilità. Terzo punto, emergono criticità sull’approvvigionamento di materie prime: gestire un impianto come quello dell’Ilva richiede un’infrastruttura produttiva e logistica di cui Baku Steel non dispone: un conto è la supply chain del rottame ferroso, un’altra quella del minerale di ferro e carbone da cokeria.

La gestione di un impianto con altiforni richiede accordi strategici con miniere e fornitori di carbone coke. Senza questa sicurezza nell’approvvigionamento, il rischio per Baku Steel sarebbe elevato, soprattutto alla luce dell’attuale contesto di Guerra Fredda 2.0 e di progressiva azione di militarizzazione delle materie prime da parte dei Paesi produttori. Il quarto fronte di criticità riguarda la segmentazione del mercato. Baku Steel è specializzata nella produzione di prodotti lunghi, tra cui tondo per cemento armato, barre e vergelle: prodotti destinati principalmente al settore delle costruzioni. Mentre ILVA è focalizzata sulla produzione di prodotti piani, come lamiere e coils destinati a settori ad alto valore aggiunto come l’automotive, la cantieristica navale, la meccanica e l’elettrodomestico.

Last but not least, la questione ambientale: Taranto è stata oggetto di severe critiche per il suo impatto ambientale, con emissioni elevate di CO₂, SO₂ e particolato. Baku Steel ha costruito la propria reputazione sulla produzione di acciaio con minori emissioni tramite forno elettrico, ma non ha particolare esperienza nella gestione delle problematiche ambientali associate agli altiforni. Inoltre, la manutenzione di un impianto come ILVA richiede ingenti investimenti per la sostituzione dei refrattari e la gestione di impianti di abbattimento delle emissioni, costi che Baku Steel non è strutturata per sostenere.

Alla luce di queste considerazioni sembra dunque che l’unico reale punto di forza dell’offerta di Baku Steel oltre all’aspetto economico sia dato dall’ampia disponibilità di gas estratto nei giacimenti azeri. Intendiamoci, non poca cosa: la necessità di poter vantare un partner affidabile nel comparto energetico sappiamo essere centrale per la competitività del Sistema paese. Così come non è detto che Baku Steel non riesca nell’impresa di rilanciare l’impianto sebbene registri attualmente decine di milioni di perdita al mese. Terzo punto a favore dell’offerta azera: quella di risultare meno onerosa per il Governo sul lato dei sussidi energetici che invece Jindal Steel international chiede. Anche se il vulnus di non conoscere la tecnologia dell’altoforno rischia di rendere necessario l’intervento dello Stato.

L’aspetto fondamentale riguarda però la gestione del negoziato con gli azeri. Se infatti ILVA verrà venduta a Baku Steel, non verrà venduta a una società privata qualsiasi ma de facto al Governo di Baku. Quali piani ha in mente per l’Italia? Intende concentrarsi sulla vendita di gas? Acquisire altri asset industriali? Ci sono spazi per cooperazione anche in altri ambiti? E’ una partita insomma molto complessa che dovrebbe forse gestire Chigi per la sua complessità. Lo spazio di manovra in cui si muovono i commissari e il Governo è dunque molto stretto.

La priorità rimane quella di garantire un futuro realmente sostenibile al polo di Taranto anche nell’ottica di avviare quel ramp-up della capacità produttiva nel comparto della Difesa in assenza del quale lo standing dell’Italia nei consessi internazionali verrebbe fortemente ridimensionato.