La marcia che aprì le porte al fascismo
Marcia su Roma: il ruolo di Perrone Compagni, Iglieri e Bottai
Chi sono gli uomini che dovranno guidare materialmente l’assalto a Roma mentre i quadrumviri resteranno asserragliati a Perugia e Mussolini, a Milano, tratterà con i capi liberali? Nel vertice di Firenze del 20 e 21 ottobre, tanto importante per l’organizzazione della marcia che in seguito Mussolini, mentendo, dichiarerà di essere stato anche lui presente, bisogna indicare i capi delle tre colonne che dovrebbero marciare.
La colonna di Santa Marinella sarà al comando di Dino Perrone Compagni, quarantenne, marchese squattrinato, massone, degradato in guerra da tenente a soldato semplice per debiti di gioco non saldati è il capo dello squadrismo toscano. Brutale e violento, ma non abbastanza per i duri come il futuro rapitore di Matteotti Amerigo Dumini che lo detestano e faranno circolare la notizia sulla disonorevole carriera militare, è abituato a rivolgersi direttamente alle amministrazioni locali socialiste per ordinarne lo scioglimento pena l’attacco alla città o al paese di turno. Spedisce missive come quella fatta pervenire al sindaco di Roccastrada: «Facendomi interprete dei vostri amministrati vi consiglio a dare, entro domenica, le dimissioni, assumendovi voi, in caso contrario, ogni responsabilità di cose e persone. Se ricorrerete alle autorità per questo mio pio, gentile ed umano consiglio, il termine suddetto vi sarà ridotto».
Delle doti militari di Perrone Compagni però i quadrumviri sono i primi a non fidarsi. Così gli affiancano Sante Ceccherini, che ha sì quasi sessant’anni però la guerra la sa fare davvero. Anche lui massone, campione olimpionico di scherma, pluridecorato sia nella guerra italo-turca del 1911-12 che nella Guerra mondiale: la cattura di 1600 prigionieri che lo ha reso noto come “l’eroe di San Michele”. Ceccherini è stato legionario con D’Annunzio a Fiume poi, appena congedato, è passato al fascismo ed è lui, molto più del marchese degradato, che dovrebbe assumere il comando in caso di battaglia. Comandante della colonna di Monterotondo sarà Ulisse Iglieri, capo indiscusso dello squadrismo romano. Toscano e futuro cofondatore della squadra di calcio della Roma, Igliori, a 27 anni, è un eroe di guerra mutilato del braccio sinistro, fatto prigioniero e detenuto per 10 mesi dagli austriaci a Mauthausen, da cui è uscito tubercoloso, poi a Fiume con D’Annunzio come comandante della sua guardia, “La Disperata”.
Un anno esatto prima della marcia, Igliori avrebbe dovuto sfidarsi a duello con Mussolini. Il duce aveva infatti sfidato il giornalista socialista Francesco Ciccotti Scozzese, soffiando così il diritto di infilzarlo all’eroe di guerra, che aveva a propria volta sfidato il giornalista. Il duello tra Mussolini e Ciccotti si svolse davvero il 28 ottobre 1921: il cronista abbandonò al quattordicesimo assalto per crisi cardiaca. Su quello tra il duce e il capo dello squadrismo romano, pur ampiamente pubblicizzato dalla stampa, i due fascisti scelsero invece di soprassedere. Igliori è tra i fascisti più rigidi e duri. Aveva rifiutato la candidatura nelle liste del Blocco nazionale di Giolitti per non mischiarsi con giolittiani e liberale e resterà uno dei ras più violenti e temuti della Capitale anche dopo la presa del potere, considerato responsabile del pestaggio che porterà alla morte Giovanni Amendola.
Al mutilato e massone Igliori i quadrumviri affiancano l’altro generale fresco di adesione al fascismo, Gustavo Fara. Distintosi in Eritrea, Libia e nella guerra mondiale, Fara si è avvicinato al fascismo solo dopo il congedo, nel maggio 1922, e in settembre si è presentato al soldato che era stato ai suoi ordini nell’11° Reggimento Benito Mussolini. Per guidare la colonna di Tivoli viene scelto Giuseppe Bottai, destinato a una brillante carriera politica nel ventennio. A 27 anni Bottai è stato volontario nella guerra, ufficiale degli Arditi, decorato. È un intellettuale, futurista, fondatore del giornale degli Arditi Le Fiamme, caporedattore del Popolo d’Italia a Roma ma anche uno degli squadristi più attivi e determinati.
Molto popolare tra i fascisti romani era stato eletto nelle elezioni del 1921 con 100mila preferenze senza però entrare davvero in Parlamento: l’elezione non era stata convalidata perché era troppo giovane. Bottai è stato uno dei pochi ras favorevoli al Patto di pacificazione del 1921 e dopo la marcia sosterrà la necessità di abbandonare lo squadrismo provocando le ire del duro Farinacci che lo espellerà dal Pnf. A salvare Bottai, futuro governatore di Roma e Addis Abeba, ministro delle Corporazioni e dell’Educazione, sarà Mussolini con un messaggio a Farinacci in cui definisce l’espulso “interventista, intervenuto, fascista della primissima ora, squadrista del 10-20-21-22, comandante di una colonna che combattè duramente alle porte di Roma nell’ottobre ‘22” per concludere chiudendo d’autorità la vicenda: «Considero attacco Bottai come rivolto a me Benito Mussolini».
I quadrumviri, a Firenze, provvedono anche a dividere l’Italia in 12 zone, affidate a diversi proconsoli. Le prime due, che comprendono Liguria, Piemonte e buona parte della Lombardia sono assegnate al capitano Cesare Forni, uno dei capi più violenti dello squadrismo agrario. La terza zona, con l’Alto Adige e una parte del Veneto è messa agli ordini di Italo Bresciani, ex anarchico, poi sindacalista rivoluzionario, sansepolcrista e redattore del Popolo d’Italia. Finirà in disgrazia e in conflitto con il nascente regime dopo la marcia, salvo poi venir “reintegrato” dopo la crisi seguita al delitto Matteotti. Il resto del Veneto e la Venezia Giulia, la quarta zona, sono affidati al maggiore e deputato Giovanni Giuriati, 44 anni, volontario e decorato in guerra, capo di gabinetto di D’Annunzio a Fiume, in seguito più volte ministro e per un anno, dal 1930 al 1931, segretario del Pnf.
L’Emilia-Romagna, quinta zona, va al vicesegretario del partito Attilio Teruzzi, che in una recente biografia la storica italo-americana Victoria De Grazia ha definito sin dal titolo Il perfetto fascista, massone, ufficiale nella grande guerra, in seguito sottosegretario e ministro. Nel 1945 fu annunciata la sua fucilazione come gerarca di Salò, ma i partigiani avevano in realtà ucciso un giornalista tedesco somigliante. Il vero Teruzzi fu condannato a 30 anni di prigione, ne scontò 5 e morì appena 20 giorni dopo la scarcerazione. Roma e tutta l’area fino a Perugia erano in mano a Igliori. La Toscana a Perrone Compagni, del resto già noto come “il granduca di Toscana”. Marche e Abruzzi andarono a Bottai.
La nona zona comprendeva Campania e Puglia e il proconsole designato era il capo squadrista di Napoli Aurelio Padovani, come al solito massone e pluridecorato. Finirà in disgrazia pochi mesi dopo la marcia, bollato da Mussolini come «il fascista più indisciplinato d’Italia, in contatto con elementi equivoci, responsabile di un ammutinamento che ci ha coperti di ridicolo». Puglia e Calabria furono assegnate a Giuseppe Caradonna, capo dello squadrismo pugliese, uno dei più feroci avversari del patto di pacificazione e padre del futuro dirigente del Msi Giulio. Per la zona 11, Sicilia, fu indicato il futuro segretario del Pnf Achille Starace, fucilato nel 1945. La Sardegna rimase vacante. Erano questi gli uomini che, alla vigilia della grande adunata fascista di Napoli, si preparavano a guidare l’insurrezione.
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