L'intervista
Mario Corti: “Mosca può fomentare il colpo di Stato in Moldavia. I russi sfruttano agenti di influenza infiltrati nella società”
Mario Corti ha lavorato per Radio Free Europe-Radio Liberty a Monaco di Baviera e a Praga, con frequenti soggiorni in Russia, fino a diventarne direttore del Servizio russo. Oltrecortina ha difeso i dissidenti russi, tra cui Andrej Sacharov e il regista Andrej Tarkovskij. Fine conoscitore della Russia e dell’Europa orientale, oggi è membro di Memorial Italia.
Cosa rappresenta la vittoria di Maia Sandu per la Russia? È probabile che si verifichi per la Moldavia uno scenario simile a quello dell’Ucraina post-Maidan?
«Cercherà di screditare le elezioni e gli eletti, sabotare l’azione di governo, inasprire i conflitti esistenti e crearne di nuovi, fomentare disordini. Il solito armamentario cui fa ricorso la macchina dei Servizi segreti russi all’estero. In Russia già si parla di indebite interferenze europee e di elezioni truccate. Nel medio e lungo termine potrebbe tentare di favorire un colpo di Stato. Per come la vedo io, anche se a Occidente la Moldavia rappresenta il punto di minor resistenza, con tutte le difficoltà che sta affrontando in Ucraina, non credo che la Russia tenterà un’aggressione militare. E poi c’è l’Ucraina di mezzo: Russia e Moldavia non hanno una frontiera in comune».
Nelle ultime settimane abbiamo assistito a numerose violazioni dello spazio aereo europeo da parte dei russi. La Nato dovrebbe abbattere gli aerei russi?
«Putin ci prova sempre. Se lo si lascia fare senza reagire, si spinge oltre. Lo scopo degli sconfinamenti è quello di saggiare non tanto la capacità, quanto la volontà di reazione dell’Europa alle sue provocazioni, di sfruttare le debolezze della nostra società e intimidire un’opinione pubblica già abbastanza impaurita di fronte alle ripetute minacce di una guerra nucleare che provengono dalla Russia. La nostra è una società imbelle che si è cullata per troppo tempo nell’illusione di una pace duratura, neppure in grado di immaginare la possibilità di un allargamento del conflitto. Se un velivolo di un Paese ostile viola il tuo spazio aereo, c’è una procedura da seguire che prevede diversi avvertimenti a cambiare rotta. Viste le violazioni cui abbiamo già assistito, una semplificazione di queste procedure nel caso di un eventuale prossimo sconfinamento e l’abbattimento immediato del velivolo sarebbero un segnale forte ed efficace».

Tutte le azioni ostili della Russia procedono di pari passo con massicce campagne di disinformazione e guerra psicologica. Quali sono le principali tattiche utilizzate dal Cremlino?
«La Russia opera attraverso agenti di influenza infiltrati nei media, nella politica, nelle istituzioni, nei sindacati, nelle chiese e in altre componenti della società. Nel rapporto Mitrokhin, l’archivista capo del Primo Dipartimento del KGB che si occupava dello spionaggio estero, riparato nel Regno Unito nel 1992, questi agenti di influenza venivano suddivisi in prezzolati, volontari e inconsapevoli. Anche oggi funziona nello stesso modo. Tra costoro troviamo i cosiddetti compagni di strada, gli utili idioti, i Russlandversteher, cioè coloro che capiscono le ragioni della Russia. La propaganda e la disinformazione, le notizie false, anche quelle a danno della reputazione di personaggi considerati ostili, non hanno necessariamente lo scopo di convincere; alla Russia basta creare insicurezza o alimentare le incertezze e i dubbi già esistenti, intorbidire le acque, confondere le menti e le idee. Approfitta delle divisioni e delle contrapposizioni presenti nella nostra società, trasversali a tutti gli schieramenti, o le fomenta a bella posta».
La guerra in Ucraina ha rinnovato il dibattito sulla responsabilità culturale. A suo avviso, esiste una tradizione nella cultura russa – da Puškin a Dostoevskij fino a Solženicyn – che abbia contribuito a costruire una mitologia del potere e dell’impero?
«La cultura è certamente uno strumento promozionale potentissimo soprattutto da parte dei regimi dittatoriali. Ma il termine cultura viene usato in un numero imprecisato di accezioni, e bisognerebbe prima mettersi d’accordo su cosa si intende per cultura. In ogni caso, la cultura di un popolo non è mai scollegata dal contesto storico, religioso, politico, economico e sociale. Solženicyn considerava russi e ucraini sostanzialmente appartenenti a un unico popolo, metteva in dubbio l’appartenenza di alcuni territori all’Ucraina, compresa la Crimea. Tuttavia, ripensandoci, non credo che avrebbe mai approvato una qualsiasi azione violenta contro l’Ucraina indipendente; suppongo che, se fosse vivo oggi, condannerebbe l’aggressione in corso. Dostoevskij riteneva che Costantinopoli dovesse appartenere alla Russia e ne auspicava la conquista. Era un fervido sostenitore della translatio imperii in salsa moscovita e vedeva la Russia come legittima erede dell’impero bizantino. Retrocedendo nel tempo arriviamo a Puškin. In una famosa ode intitolata “Ai calunniatori della Russia”, si scaglia contro quegli europei che hanno appoggiato la cosiddetta “Rivolta dei cadetti” contro il dominio russo in Polonia e Lituania negli anni 1830-1831. E in un’altra poesia dal titolo “È vissuto insieme a noi” se la prende con il suo ex amico, il poeta polacco Adam Mickiewicz, accusandolo di aver abusato dell’ospitalità russa durante una sua visita e chiamandolo “poeta malvagio”, perché aveva osato appoggiare la causa dell’indipendenza del suo Paese».
Che rapporto esiste tra questa tradizione e il regime di Putin?
«Anche Putin, come Dostoevskij e altri prima di lui fino al monaco Filoteo, si trastulla con l’idea che la Russia sia l’erede legittima di Bisanzio. Putin è l’ultimo di tutta una serie di autocrati che hanno governato la Russia. Non è il caso di passare qui in rassegna l’ampia bibliografia delle opere sulle radici culturali del fascismo, del nazismo e dell’antisemitismo. La Russia non fa eccezione, e i tanti sostenitori della tesi che la cultura russa non c’entra, dovrebbero spiegarci in linea di principio perché non si possano ricercare ed eventualmente individuare le radici culturali del putinismo».
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