Via alla maturità 2024. Alle 8:30 di questa mattina sono state rese note le tracce della prima prova di italiano, uguale per tutte le scuole. Domani sarà la volta del secondo scritto che si differenzierà a seconda della tipologia di Istituti. 

In aggiornamento 

‘Storia d’Europa’ di Giuseppe Galasso

Storia d’Europa di Giuseppe Galasso è una delle due tracce del testo argomentativo. Invita i maturandi a riflessioni sull’uso dell’atomica

Questo il passo:

La condizione così determinatasi nelle relazioni internazionali, e in particolare fra i grandi vincitori della guerra e in Europa, fu definita «guerra fredda». La definizione, volutamente antitetica, esprimeva bene la realtà delle cose. Lo stato di pace tra le due massime potenze dei rispettivi campi e tra i loro alleati non poteva ingannare sulla realtà di un conflitto ben più consistente e, soprattutto, ben diverso nella sua cronicità, nelle sue manifestazioni e nei modi del suo svolgimento rispetto alla consueta contrapposizione di posizioni e di interessi nei rapporti fra potenze anche nelle fasi di grande tensione internazionale. A conferire al conflitto questo aspetto inedito valse certamente, e fu determinante, l’«equilibrio del terrore» affermatosi con l’avvento delle armi atomiche. E tanto più in quanto nel giro di una dozzina di anni i nuovi armamenti e i sistemi di piazzamento, lancio e destinazione fecero registrare perfezionamenti di tecnica, di precisione e di potenza tali da lasciar prevedere senza possibilità di incertezza che un conflitto atomico avrebbe provocato una catastrofe totale delle possibilità stesse di vita dell’intera umanità non solo e non tanto per le perdite e le rovine che avrebbe provocato quanto per l’alterazione insostenibile che avrebbe arrecato all’ambiente terrestre “dal punto di vista, appunto, della sopravvivenza stessa del genere umano.
Si prospettava, insomma, un tipo di conflitto i cui risultati finali, chiunque fosse il vincitore, sarebbero stati relativi proprio a questa sopravvivenza più che a qualsiasi altra posta in gioco. Ciò costringeva tutti i contendenti al paradosso di una pace obbligata, di un confronto che poteva andare oltre tutti i limiti tollerabili in una condizione di pace e perfino giungere all’uso di armi potentissime, ma pur sempre non atomiche, armi «convenzionali», come allora furono definite, ma non poteva e, ancor più, non doveva superare la soglia critica segnata da un eventuale impiego delle armi atomiche. Come non era mai accaduto prima, l’uomo restava, così, prigioniero della potenza che aveva voluto e saputo raggiungere. Uno strumento di guerra, di distruzione e di morte di inaudita efficacia si convertiva in una garanzia, del tutto impreveduta, di pace a scadenza indefinita. La responsabilità gravante sugli uomini politici e sui governi dei paesi provveduti di armi atomiche superava di gran lunga, nella sua portata e nella sua stessa qualità morale e politica, qualsiasi altro tipo di responsabilità che fino ad allora si fosse potuto contemplare nell’esercizio del potere. Sorgeva anche subito il problema della eventuale proliferazione di un siffatto tipo di armamenti. Che cosa sarebbe potuto accadere se essi fossero venuti nella disponibilità di un gran numero di paesi e, soprattutto, se si fossero ritrovati nelle mani di leaders che non fossero quelli di grandi potenze aduse a una valutazione globale dei problemi politici mondiali e continentali e fossero, invece, fanatici o irresponsabili o disperati o troppo potenti in quanto non soggetti al controllo e alle limitazioni di un regime non personale e alle pressioni dell’opinione pubblica interna e internazionale? La lotta contro la proliferazione delle armi atomiche e per il disarmo in questo campo divenne perciò un tema centrale della politica internazionale e vi apportò un considerevole elemento sedativo (per così dire) di eventuali propensioni a varcare la soglia del temibile rischio di una guerra atomica.”

Viene chiesto qual è secondo lo storico l’espressione del significato guerra fredda ed equilibrio del terrore, di spiegare per quale motivo l’uso dell’atomica provocherebbe “una catastrofe totale della possibilità stessa di vita dell’intera umanità”, e quali siano le considerazioni che motivano la lotta contro ‘la proliferazione delle armi atomiche per il disarmo”

Quaderni di Serafino Gubbio operatore

Tra le tracce dell’analisi del testo c’è Quaderni di Serafino Gubbio operatore, di Pirandello.

Il testo: 

“Soddisfo, scrivendo, a un bisogno di sfogo, prepotente. Scarico la mia professionale impassibilità e mi vendico, anche; e con me vendico tanti, condannati come me a non esser altro, che una mano che gira una manovella.
Questo doveva avvenire, e questo è finalmente avvenuto!
L’uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse.
Viva la Macchina che meccanizza la vita!
Vi resta ancora, o signori, un po’ d’anima, un po’ di cuore e di mente? Date, date qua alle macchine voraci, che aspettano! Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare.
Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto?
È per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni.
La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno di ingojarsi la nostra anima, di divorare nostra vita. E come volete che le ridiano, l’anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine? Ecco qua: in pezzetti e bocconcini, tutti d’uno stampo, stupidi e precisi, da farne, a metterli sù, uno su l’altro, una piramide che potrebbe arrivare alle stelle. Ma che stelle, no, signori! Non ci credete. Neppure all’altezza d’un palo telegrafico. Un soffio li abbatte e li ròtola giù, e tal altro ingombro, non più dentro ma fuori, ce ne fa, che – Dio, vedete quante scatole, scatolette, scatolone, scatoline? – non sappiamo più dove mettere i piedi, come muovere un passo. Ecco le produzioni dell’anima nostra, le scatolette della nostra vita!
Che volete farci? Io sono qua. Servo la mia macchinetta, in quanto la giro perché possa mangiare. Ma l’anima, a me, non mi serve. Mi serve la mano; cioè serve alla macchina. L’anima in pasto, in pasto la vita, dovete dargliela voi signori, alla macchinetta ch’io giro. Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io.”

Viene chiesto di commentare il passo: “Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto?”

Viene chiesto di illustrare la visione del futuro che Serafino prospetta quando afferma: “Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io.”

Viene chiesto di sintetizzare il contenuto del bravo individuando la tesi sostenuta dal protagonista e di individuare gli espedienti espressivi

Pellegrinaggio di Ungaretti

Nella tipologia a, analisi del testo, viene proposta come brano di poesia ‘Pellegrinaggio’ di Ungaretti (inserita nella raccolta ‘Vita di un uomo’). Testimonia l’intensità biografica e realistica, nonché la ricerca di forme nuove delle liriche del poeta, traendo ispirazione dall’esperienza vissuta da Ungaretti durante la prima Guerra Mondiale

In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba

Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’illusione
per farti coraggio

Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia

Valloncello dell’Albero Isolato il 16 Agosto 1916

La bellezza, L’equilibrio del terrore e il quadro geopolitico: dallo scritto di Maria Agostina Cabiddu

Tra i testi argomentativi, proposto anche un testo tratto da Maria Agostina Cabiddu, in Rivista AIC (Associazione Italiana Costituzionalisti)

Bellezza dovrebbe essere, in una immaginaria carta di identità dell’Italia, il primo fra i suoi segni particolari, questa essendo, principalmente, la ragione per cui milioni di visitatori vengono ogni anno nel nostro Paese, attratti dal suo straordinario patrimonio naturale e culturale, che non ha eguali nel resto del mondo, e dalla densità e diffusione, cioè dal radicamento di questo patrimonio nel territorio, nella storia e nella coscienza del suo popolo.

La lungimirante intuizione dei Costituenti di riunire in un unico articolo e di collocare fra i principi fondamentali la promozione dello sviluppo culturale e della ricerca scientifica e tecnica e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione ci dice non solo del rango da essi assegnato a beni e interessi, con ciò posti a fondamento dell’identità nazionale, ma anche della loro consapevolezza per lo stretto legame tra memoria del passato e proiezione nel futuro di un Paese così ricco di storia, natura e cultura come l’Italia.

Sappiamo come la furia della ricostruzione prima e il prevalere delle ragioni di un malinteso sviluppo economico poi abbiano troppo spesso pretermesso quei principi, finendo per colpire anche il nesso fra salvaguardia del patrimonio e progresso culturale e sociale del Paese che la Costituzione indica come fondamentale.

Eppure, a ben guardare, la coscienza della funzione civile del patrimonio storico-arti- stico non è mai, nel frattempo, venuta meno a anzi spesso si è tradotta in manifestazioni spon- tanee di cittadinanza attiva e nella nascita di formazioni sociali, più o meno strutturate, per la cura delle cose d’arte, dei paesaggi e dei luoghi “del cuore”, per l’organizzazione di festival e manifestazioni culturali e artistiche di diverso genere: da Italia Nostra al Touring Club Italia, al FAI fino alle associazioni e comitati privi di personalità giuridica ma non per questo meno ca- paci di testimoniare quei “legami e responsabilità sociali che proprio e solo mediante il riferi- mento a un comune patrimonio di cultura e di memoria prendono la forma del patto di cittadi- nanza”45.

Questo è, allora, il punto: la crescente domanda di arte, di musica, di paesaggio, di letteratura, in una parola di “bellezza” non può, in alcun modo, essere ricondotta alla categoria dei “beni di lusso” o, peggio, all’effimero e al superfluo. Al contrario, essa ha direttamene a che fare con il senso di appartenenza, di identità e memoria, con il benessere e la (qualità della) vita delle persone e delle comunità, insomma con una cittadinanza “pleno iure” e se è così nessuno deve rimanerne escluso

Viene chiesto di riassumere il contenuto, di rispondere alla domanda: “Per quale motivo, l’intuizione dei Costituenti è definitiva ‘lungimirante'”, perché a giudizio dell’autrice la crescente domande di bellezza non può rientrare nella categoria beni di lusso, e partendo dall’affermazione che ‘la coscienza della funzione civile del patrimonio storico-artistico non è mai venuta meno’, di individuare i motivi di tale convinzione.

Rita Levi Montalcini con l’elogio dell’imperfezione

Nella Tipologia C (tema d’attualità)C’è anche Rita Levi Montalcini con l’Elogio dell’imperfezione tra le tracce proposte. Nel contesto della tipologia di traccia viene chiesta una riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità 

Questo il passo 

Considerando in retrospettiva il mio lungo percorso, quello di coetanei e colleghi e delle giovani reclute che si sono affiancate a noi, credo di poter affermare che nella ricerca scientifica, né il grado di intelligenza né la capacità di eseguire e portare a termine con esattezza il compito intrapreso, siano i fattori essenziali per la riuscita e la soddisfazione personale. Nell’una e nell’altra contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, più critici e più acuti, non affronterebbero.

Senza seguire un piano prestabilito, ma guidata di volta in volta dalle mie inclinazioni e dal caso, ho tentato (…) di conciliare due aspirazioni inconciliabili, secondo il grande poeta Yeats: “Perfection of the life, or of the work”. Così facendo, e secondo le sue predizioni, ho realizzato quella che si può definire “Imperfection of the life and of the work”. Il fatto che l’attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia, mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito che ci siamo prefissi o ci è stato assegnato, sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione.

Viene chiesto di riflettere su quale significato possa avere nella società di oggi un elogio all’imperfezione. 

Maurizio Caminito, con un brano tratto da Profili, selfie e blog

Nella Tipologia C (tema d’attualità) C’è anche Maurizio Caminito, con un brano tratto da Profili, selfie e blog. Nel contesto della tipologia di traccia viene chiesta una riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità. 

«Quando cambia il modo di leggere e di scrivere, cambiano anche le forme più consolidate per trasmettere agli altri (o a se stessi) le proprie idee e i propri pensieri. E non c’è forse nessuna forma letteraria (o para-letteraria) che, nell’epoca della cosiddetta rivoluzione digitale, abbia subito una mutazione pari a quella del diario. Il diario segreto, inteso come un quaderno o un taccuino in cui si annotano pensieri, riflessioni, sogni, speranze, rigorosamente legati alla fruizione o (ri)lettura personale, non esiste più. Non solo perché ha mutato forma, lasciando sul terreno le sembianze di scrigno del tesoro variamente difeso dalla curiosità altrui, ma perché ha subito un vero e proprio ribaltamento di senso. Nel suo diario Anna Frank raccontava la sua vita a un’amica fittizia cui aveva dato il nome di Kitty. A lei scrive tra l’altro: “Ho molta paura che tutti coloro che mi conoscono come sono sempre, debbano scoprire che ho anche un altro lato, un lato più bello e migliore. Ho paura che mi beffino, che mi trovino ridicola e sentimentale, che non mi prendano sul serio. Sono abituata a non essere presa sul serio, ma soltanto l’Anna leggera’ v’è abituata e lo può sopportare, l’Anna `più grave’ è troppo debole e non ci resisterebbe.” Chi oggi scrive più in solitudine, vergando parole sui fogli di un quaderno di cui solo lui (o lei) ha la chiave? Chi cerca, attraverso il diario, la scoperta di un “silenzio interiore”, “la parte più profonda di sé”, che costituirà, per chi lo scrive, il fondamento dell’incontro con gli altri? I primi elementi a scomparire sono stati la dimensione temporale e il carattere processuale della scrittura del – diario, non tanto rispetto alla vita quotidiana, quanto nei confronti di un formarsi graduale della personalità. Il diario dell’era digitale è una rappresentazione di sé rivolta immediatamente agli altri. Nasce come costruzione artificiale, cosciente, anzi alla ricerca quasi spasmodica, del giudizio (e dell’approvazione) degli altri. Rischiando di perdere così uno degli elementi essenziali del diario come lo abbiamo conosciuto finora: la ricerca di sé attraverso il racconto della propria esperienza interiore. Che viene sostituita dall’affermazione di sé attraverso la narrazione mitica (o nelle intenzioni, mitopoietica) di ciò che si vorrebbe essere.» Nella traccia viene chiesto, partendo da una riflessione sul mutamento che ha subito la scrittura diaristica a causa dell’affermazione dei blog e dei sociali, di esporre il proprio punto di vista sull’argomento e di confrontarsi in maniera critica con le tesi espresse nel testo. 

Riscoprire il silenzio’ della giornalista Nicoletta Polla Mattiot

Tra le tracce del testo argomentato proposto anche lo scritto ‘Riscoprire il silenzio’ della giornalista Nicoletta Polla Mattiot.

«Concentrarsi sul silenzio significa, in primo luogo, mettere l’attenzione sulla discrezionalità del parlare. Chi sceglie di usare delle parole fa un atto volontario e si assume dunque tutta la responsabilità del rompere il silenzio. Qualsiasi professionista della comunicazione studia quando è il momento opportuno per spingersi nell’agone verbale: la scelta di «smettere di tacere» è un atto rituale di riconoscimento dell’altro. […] Si parla perché esiste un pubblico, un ascoltatore. Si parla per impostare uno scambio. Per questo lavorare sull’autenticità del silenzio e, in particolare, sul silenzio voluto e deliberatamente scelto, porta una parallela rivalutazione del linguaggio, la sua rifondazione sul terreno della reciprocità. Dal dire come getto verbale univoco, logorrea autoreferenziale. al dialogo come scambio contrappuntistico di parole e silenzi. Ma il silenzio è anche pausa che dà vita alla parola. La cesura del flusso ininterrotto, spazio mentale prima che acustico. [. .] Nell’intercapedine silenziosa che si pone tra una parola e l’altra. germina la possibilità di comprensione. Il pensiero ha bisogno non solo di tempo. ma di spazi e. come il linguaggio. prende forma secondo un ritmo scandito da pieni e vuoti, É questo respiro a renderlo intelligibile e condivisibile con altri. Il silenzio è poi condizione dell’ascolto. Non soltanto l’ascolto professionale dell’analista (o dell’esaminatore, o del prete-pastore), ma della quotidianità dialogica. Perché esista una conversazione occorre una scansione del dire e tacere. un’alternanza spontanea oppure regolata (come nei talk show o nei dibattiti pubblici), comunque riconosciuta da entrambe le parti. L’arte salottiera e colta dell’intrattenimento verbale riguarda non solo l’acuta scelta dei contenuti, ma la disinvoltura strutturale, l’abile dosaggio di pause accoglienti e pause significanti, intensità di parola e rarefazione, esplicito e sottinteso, attesa e riconoscimento Si parla «a turno», si tace «a turno».

Viene chiesto di riassumere il contenuto del brano o costruire un discorso che comprenda le risposte e tutte le domande proposte: “Perché la scelta di smettere di tacere è un altro rituale di conoscimento dell’altro?”; “Quali sono le funzioni peculiari del silenzio e i benefici che esso fornisce alla comunicazione”?. E anche di illustrare la relazione tra la parola silenzio e pensiero riconosciuta nell’espressione “spazio mentale prima che acustico”.

 

Il giorno dell’esame

Ore 08:35 Aperto il plico telematico, a breve l’aggiornamento delle tracce 

Ore 08:15 Il Ministro ell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara,  intervenendo a RTL 102.5 fa sapere che “Saranno tracce interessanti e abbordabili”. “Non credo ci saranno – prosegue – traumi o particolari preoccupazioni. I ragazzi, prima di scrivere, devono riflettere e usare la brutta per impostare il ragionamento. Quindi esprimere i loro sentimenti per cogliere il significato profondo delle tracce di oggi”.

Ore 08:10 Sono tre le tipologie di tracce proposte indicate con le lettere a, b, c per un totale di sette tracce. La prima tipologia è l’analisi del testo: prosa o poesia. La tipologia b riguarda invece il testo argomentativo e si compone di tre tracce: sicuramente una di carattere storico, con le altre due che potrebbero riguardare temi artistici, letterari, filosofici, economici, tecnologici, scientifici, sociali. Infine, l’ultima tipologia riguarda il tema d’attualità, dove saranno proposte due tracce.

Ore 8:00 Sono in totale 526.317 che stanno affrontando, a partire dalle 8:30 di questa mattina il primo scritto: 28.038 classi, la maggior parte delle quali dei licei, in cui  saranno coinvolti 266mila maturandi. Gli studenti ammessi – dati del Ministero dell’Istruzione e del merito – sono il 96,4% in leggero aumento rispetto allo scorso anno (96,3) e al 2022 (96,2).

Come viene calcolato il voto finale

Il voto finale dell’esame di maturità sarà espresso in centesimi. Gli studenti hanno potuto maturare fino a 40 crediti a partire dal terzo anno. Gli altri 60 verranno assegnati dalle due prove scritte e dall’orale. Coloro che avranno ottenuto, nelle prove, almeno 50 punti totali e che all’esame sono arrivati con almeno 30 crediti, possono accedere a un ‘premio’ fino a un massimo di 5 punti da sommare al voto finale.

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