Il Ministro Valditara potrà bocciare chi vuole dall’anno prossimo, ma i ragazzi che hanno rifiutato di presentarsi al colloquio orale hanno fatto “scacco matto”: sono riusciti a dire a tutti che questa roba dell’Esame di Stato, della competizione scolastica, dei voti e delle scartoffie annesse ha più senso per gli adulti che per loro. Questo gli interessava dire e questo hanno detto. O meglio, hanno chiarito che loro, quel significato, non lo vedono e perciò lo subiscono, mentre gli adulti – questo lo dico io da insegnante – in quella funzione di valutazione spesso si identificano, ne traggono “un ruolo”; e da sempre, aggiungo, chi vede svuotato di senso ciò che gli dà “un ruolo”, in qualche modo si difende. Il fatto interessante della vicenda è che quei ragazzi il vuoto di senso non lo hanno solamente dichiarato, lo hanno “artisticamente” espresso con la mossa giusta, un gesto simbolico dotato di tre caratteristiche che ci tengo a sottolineare: non violenza, responsabilità e rispetto delle regole.

1. il loro gesto non feriva nessuno, non toglieva niente agli altri; 2. è stata un’azione responsabile, nel senso che chi la compiva se ne assumeva la responsabilità in termini personali, senza scaricarla, o peggio, collettivizzarla, come vediamo fare sempre più spesso anche tra i giovani; 3. non hanno contestato o infranto le regole, semplicemente le hanno svuotate, accettandone il peso e mostrandone il vuoto. In un certo senso hanno dato una piccola lezione anche a una parte del ‘68, quella che i voti li pretendeva, mentre loro li hanno semplicemente restituiti, come se avessero detto: “teneteveli voi, che gli date così tanto valore”.

La reazione di Valditara

Come reagisce ora il mondo della scuola? Cambia le regole, impedisce quel gesto giovanilmente goliardico ma potentissimo nel suo significato. “Dal prossimo anno chi non si presenta all’orale sarà bocciato” tuona il Ministro Valditara. Una risposta di potere a un gesto di libertà, che non toccava nessuno ma creava un danno di immagine. A sminuirne la portata è giunto ieri anche un commento molto diffuso di Gramellini, nelle vesti di adulto consapevole (Sancho Panza) che paternalisticamente disillude le utopie della giovane Maddalena Bianchi (don Chisciotte). E quale sarebbe la consapevolezza da trasferire ai giovani? “In India e nell’Estremo Oriente – scrive Gramellini – stanno crescendo generazioni assatanate di affermazione economica e sociale e sarà difficile proteggere i giovani europei da una sfida che con tutta evidenza non sono più attrezzati né interessati a combattere”.

“Rimettiamo la leva obbligatoria – verrebbe da rispondere all’argomentazione – più che dare tono di serietà al sempre più vuoto Esame di Stato”. Anzi, direi che il peso formale dato alle consuetudini vuote è proprio ciò che ci rende fragili, chiusi e poco competitivi, e forse proprio i ragazzi come Gianmaria Favaretto e Maddalena Bianchi saranno attrezzati ad affrontare le nuove sfide, loro che non accettano l’esistente come destino ma provano a cambiarlo o almeno a denunciarlo con coraggio. Sia chiaro, non sono così ingenuo da volerne fare degli eroi; intravedo tutto il potenziale di immaturità delle loro ragioni, un certo rassicurante calcolo delle conseguenze, un potenziale intento esibizionista ed eccentrico, ma bisogna riconoscere che con il loro gesto hanno espresso una domanda utile, che si può sintetizzare così: “non è che tutta questa baracca che avete messo in piedi serve più a voi che a noi?”.

È la formula sintetica di ogni questione generazionale, che mai va sottovalutata né repressa, bensì va ribaltata in un’altra domanda: “ha ancora senso oggi per loro ciò che ieri ne aveva per noi?”. È la domanda chiave di ogni buon innovatore, dovrebbe essere anche quella di ogni educatore.