Nulla di fatto anche per “Pasimafi ”
Maxinchieste sulla sanità, i Nas fanno flop tre volte su tre…
E anche la terza maxi inchiesta condotta dai carabinieri del Nas di Parma è finita in un sostanziale nulla di fatto.
Un “triplete” di assoluzioni che dovrebbe far riflettere sul modo con cui vengono spesso condotte le indagini in ambito sanitario. Indagini che spazzano via per sempre eccellenze nel sistema di terapia e cura, causando danni alle collettività difficilmente quantificabili. Ma andiamo con ordine.
La prima indagine flop è “camici sporchi”. A novembre del 2012 i carabinieri arrestano nove cardiologi, fra cui il primario di cardiologia dell’ospedale di Modena, e sequestrano una dozzina di aziende, per la metà straniere, che producevano attrezzature sanitarie. Fra le accuse, peculato, corruzione, falso in atto pubblico, truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale e sperimentazioni cliniche senza autorizzazione. Gli inquirenti in conferenza stampa parlano di “indagine sperimentale” e a settembre del 2013 chiedono il rinvio a giudizio per tutti gli indagati.
Dopo un processo durato otto anni, ad aprile del 2021 il giudice assolve tutti.
La seconda indagine fallimentare inizia nel 2014 e ha il nome “Dial…bolik”. Nel mirino del Nas questa volta finisce il centro dialisi di Fornovo in provincia di Parma, uno dei pochi convenzionati con il servizio regionale. Anche in questo caso arresti a pioggia e l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa al servizio sanitario per aver erogato prestazioni mai effettuate. Tutto ovviamente finto. Passano sei anni e, anche in questo caso, a gennaio del 2020 il giudice assolve perché “il fatto non sussiste”.
E veniamo all’ultimo capitolo di questa tragica saga dell’arresto facile. Il nome scelto per la nuova maxi retata del Nas è “Pasimafi”. A finire sotto la scure del capitano Angelo Balletta e del maresciallo Giandomenico Nupieri è il centro del dolore dell’ospedale maggiore di Parma diretto dal professor Guido Fanelli, un luminare nelle cure palliative. Con lui vengono arrestate altre venti persone. Circa cento gli indagati a piedi libero. Per ammanettarli tutti verranno impiegati un migliaio di carabinieri. Le accuse sono sempre le stesse: falso, peculato, corruzione per aver commercializzato farmaci e dispositivi medici senza autorizzazione. L’indagine si avvale dell’utilizzo massiccio di intercettazioni, telecamere spia, cimini assortite. Il pm di Parma Giuseppe Amara, lo stesso che aveva condotto “Dial..bolik”, alla fine del 2018 procede con le richieste di rinvio a giudizio. Passa oltre un anno e, al termine dell’udienza preliminare, arriva però il colpo di scena: il giudice decide di trasferire per competenza territoriale quasi tutta l’inchiesta a Lecco e La Spezia. A Lecco le posizioni di tutti gli indagati sono archiviate “per notizia di reato infondata“.
Sono gli stessi pm a scrivere che le “ipotesi accusatorie apparivano claudicanti” e nelle “informative riepilogative dei Nas non si ravvisavano significativi elementi idonei a contrastare… l’impostazione difensiva”. Per Fanelli, poi, non emergeranno condotte corruttive. Anche La Spezia a stretto giro archivia le accuse per “notizia infondata di reato”.
E a Parma? Nelle scorse settimane al professor Fanelli il Tribunale ha dovuto restituire tutti i beni che gli erano stati sequestrati. Dissequestro anche per Spindial della famiglia Grondelli, una delle aziende che erano state coinvolte nell’inchiesta, leader in Italia nei trattamenti di dialisi salvavita per i soggetti in insufficienza renale cronica.
Gli imputati che hanno fatto l’abbreviato, per la cronaca, sono stati già assolti. Il processo con rito ordinario, invece, iniziato la scorsa settimana, è stato subito rinviato a novembre. Se anche questa volta i giudici evidenzieranno le superficialità investigative riscontrate dai colleghi di Lecco, sarebbe allora il caso che qualcuno prima di avventurarsi in indagini dai nomi improbabili contasse almeno fino a dieci.
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