Nel pieno di una bufera frutto del combinato disposto di pandemia e recessione, nella deriva da eccesso di rischio provocata dall’avidità degli oligarchi dell’oligopolio mondiale, potrebbe essere utile rivolgere lo sguardo ai due secoli che sono alle nostre spalle e durante i quali, sino a circa quarant’anni or sono, il capitalismo mondiale aveva costruito i meccanismi della sua accumulazione contestualmente ad articolati e molteplici meccanismi di difesa e di tutela della società dal mercato.

Quest’ultimo era stato temperato, non limitato, ma dotato di una morale sociale e istituzionale che aveva consentito la creazione, a fianco delle cattedrali dell’accumulazione, di una immensa rete di difesa e di elevazione sociale delle classi lavoratrici e delle classi medie, di quel popolo a cui pensava Sturzo quando parlava di “mezze maniche” volonterose ma de-privilegiate sui mercati, che dovevano trovare sostegno per la loro attività ininterrotta, per sé stessi e le proprie famiglie. Per lungo tempo l’interpretazione storiografica ed economica prevalente è stata quella che identificava nello Stato lo strumento per realizzare tale contestualità tra crescita economica e difesa sociale. Per alcuni deve essere, ancor oggi, lo Stato a far sì che le condizioni de-privilegiate nel mercato trovino riequilibrio e sostegno. Lo “Stato del welfare”, lo “Stato benevolente o compassionevole” che trasforma l’esazione dell’imposta in erogazione di benefici a difesa e a sostegno degli ultimi. Ma così facendo crea quell’immenso apparato burocratico che incarna anche il costo del suddetto welfare state. L’attuale, drammatica, crisi ha reso manifestatamente evidente questo concetto.

Sotto la spinta della riflessione filosofica e morale, nonché storiografica, questo modello interpretativo è stato o messo in scacco o, quanto meno, temperato. Accanto allo Stato oppure addirittura erigendosi contro di esso, si scopre sempre più che ciò che assicurava la resistenza delle classi popolari e industriose, borghesi e popolari, era una fitta rete di associazioni mutualistiche, in tutta Europa. E poi, via via, furono, sempre più potentemente religiose, soprattutto dopo la straordinaria innovazione sociale, oltreché spirituale, che fu la Rerum Novarum, che aprì al mondo intero una nuova dimensione solidale. Tutta l’esperienza del solidarismo cristiano, già all’opera da secoli, a cominciare dall’Europa con i Monti di Pegno, veniva consolidandosi: le opere caritative degli ordini religiosi, le confraternite quacchere che precocemente concepirono addirittura una versione a-capitalistica dell’impresa industriale e finanziaria di cui abbiamo ancor oggi testimonianze operanti in Gran Bretagna e negli Usa.

Ecco il legame sociale che sorreggeva la povertà e la elevava trasformandola in emancipazione, predicando il risparmio e la solidarietà tra pari: mutualismo, Società di Mutuo soccorso, cooperative di lavoro, di consumo, di credito. Il Mutuo Soccorso veniva configurandosi, ieri come oggi, come una forma di cooperazione sociale sulla base della reciproca tutela e assistenza. Da tale forma di socialità scaturì uno straordinario insieme di istituzioni basate appunto sulla cooperazione. La mutualità volontaria è, dunque, una forma storica di solidarietà, uno strumento di risposta ai bisogni sociali che si esplica attraverso istituti di associazionismo economico non profit voluti dai lavoratori a partire dalla seconda metà dell’800. È la volontarietà l’essenza del fenomeno, la sua alterità allo statalismo, un’alterità che fonda la riproducibilità del pluralismo sociale fondato su sussidiarietà e sacrificio, sui doveri dell’uomo più che sui suoi, innegabili anch’essi, diritti.

Nata per fornire un contributo al miglioramento della vita e delle condizioni dei cittadini, nel corso dei suoi duecento anni di vita, la mutualità volontaria ha mantenuto l’impostazione solidaristica originaria. Oggi, conferma la validità della propria proposta svolgendo un ruolo integrativo e sussidiario nella riorganizzazione del welfare della società globalizzata, operando in tutto il mondo e plasmandosi sulle specificità culturali delle società locali per la promozione, lo sviluppo e la difesa del movimento solidaristico di lotta contro la povertà e la marginalità economica e morale. È un moto volontario che stimola l’autorganizzazione delle famiglie e delle comunità nel campo assistenziale, sanitario, previdenziale, culturale e ricreativo, per contribuire a migliorare le condizioni economiche e sociali della collettività, nell’ambito di un originale e antistatualistico sistema di nuova sicurezza sociale. Ecco perché la mutualità ha un futuro. Se non lo avesse dovremmo rassegnarci alla vittoria del nichilismo, dell’assistenzialismo, dell’indignazione anomica. Mentre oggi abbiamo, quanto mai bisogno, della soggettività della persona come mai prima nella storia travagliata dell’umanità.