L’ultima telefonata con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e l’incontro con il direttore della Cia, William Burns, non hanno fatto cambiare idea a Benjamin Netanyahu. Il primo ministro israeliano, nella tarda notte di giovedì, ha scritto un post su X che è apparso inequivocabile. “Le mie posizioni possono essere riassunte nelle seguenti due frasi: Israele rifiuta categoricamente i dettami internazionali per quanto riguarda un accordo permanente con i palestinesi. Tale accordo sarà raggiunto solo attraverso negoziati diretti tra le parti, senza precondizioni”, ha scritto Netanyahu. E il premier ha proseguito dicendo che “Israele continuerà a opporsi al riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese” perché “sulla scia del massacro del 7 ottobre darebbe un’enorme ricompensa a un terrorismo senza precedenti e impedirebbe qualsiasi futuro accordo di pace”. Le parole di Netanyahu non lasciano dubbi, e certificano quella che ormai appare come la vera strategia del premier israeliano: l’intransigenza.

Una scelta geopolitica

Una scelta complicata e non certo priva di effetti negativi. Ma se per molti osservatori è una linea motivata principalmente da questioni di natura interna, in particolare per rendere conto all’elettorato più conservatore e alla destra radicale, per altri potrebbe essere il frutto di una scelta “geopolitica”: prolungare la guerra e non dare spazio ai piani di Biden in attesa che a Washington arrivi un altro presidente. Magari quel Donald Trump che con Bibi ha tessuto per anni un rapporto eccellente. Difficile dire se questa strategia abbia i risultati sperati da Netanyahu. I sondaggi rivelano che è estremamente difficile per il leader del Likud vincere di nuovo le elezioni. E sul fronte internazionale, la pressione nei confronti del primo ministro è ormai trasversale, unendo anche potenze tra loro rivali. Ma a fronte di questo pressing, Netanyahu sembra tirare dritto, e lo confermano anche le ultime dichiarazioni dopo l’attacco nei pressi di Kiryat.

“Continueremo a combattere”

Malakhi, nel sud di Israele, dove sono state uccise due persone alla fermata dell’autobus. “Questo attacco ci ricorda che l’intero Paese è un fronte e che gli assassini, che non provengono solo da Gaza, vogliono ucciderci tutti”, ha affermato Netanyahu, “continueremo a combattere fino alla vittoria completa con tutte le nostre forze, su ogni fronte, ovunque, finché non ristabiliremo la sicurezza e la pace per tutti i cittadini di Israele”. Tra questi fronti, il più caldo rimane ovviamente quello della Striscia di Gaza, e in particolare a Rafah, dove le Israel defense forces predispongono da tempo i piani per l’evacuazione dei civili e l’assedio ai battaglioni di Hamas asserragliati nella città al confine con l’Egitto. Anche se l’intelligence militare frena sulle reali possibilità di configgere l’organizzazione.

La missione Aspides

Il Wall Street Journal ha rivelato che le autorità del Cairo stanno allestendo nel Sinai un’area delimitata da alte barriere per accogliere decine di migliaia di rifugiati, prevedendo un esodo da Rafah. Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha detto che il suo governo si coordinerà con l’Egitto per evitare che l’operazione militare a Rafah incida in negativo sugli interessi del vicino. Tuttavia, i lavori nel Sinai fanno credere che i funzionari egiziani siano consapevoli dei rischi legati a questo assedio. Nel frattempo, anche il fronte nord continua a essere sotto stretta osservazione e a destare allarme. Ieri, Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha avvertito che i missili di cui dispone la sua milizia “possono raggiungere Eilat”, porto israeliano sul Mar Rosso. Mentre nel sud del Libano, non si fermano i raid dello Stato ebraico, che ieri hanno ucciso altri cinque combattenti di Hezbollah e del movimento Amal. Intanto, fonti Ue hanno rivelato che il prossimo lunedì, nella riunione dei ministri degli Esteri, dovrebbe essere lanciata la missione Aspides: l’operazione europea per proteggere le rotte commerciali del Mar Rosso contro gli attacchi degli Houthi.