L'artista che ha sfidato i tabù
Oliviero Toscani non si è arreso alla malattia: la testimonianza degli ultimi giorni vissuti con lucidità, coraggio e ironia: “Scherzava sull’eutanasia”
Parte II – I racconti inediti svelati direttamente da chi è stato accanto al fotografo fino all’ultimo istante. Il figlio Rocco: «Scherzava sull’eutanasia». L’assistente Crisanti: «Non ha mai smesso di pensare al lavoro»
Landi nel suo libro mette in risalto alcune caratteristiche della personalità di Toscani: «Un maestro che non ti schiaccia, non ti rende dipendente, ma più libero» (p. 42); «è stato un maestro di fuoco, che ha bruciato certezze, incenerito il mio approccio ideologico alla politica e alla vita, rovesciato le mie convinzioni» (p. 43). L’autore ricorda che Toscani ha sul tavolo vicino alla sua poltrona, dove trascorre i suoi ultimi giorni, il libro di don Milani, L’obbedienza non è più una virtù (1965). Questo è Toscani, e anche molto di più rispetto agli schemi nei quali lo incasellano i suoi detrattori. Solo Landi, che ha il privilegio di aver conosciuto Toscani da vicino, può aiutare il lettore a comprendere il suo stile: Toscani, pur avendo sempre guadagnato molti soldi, «aveva con il denaro un rapporto distaccato» (p. 46); è un uomo «molto generoso».
Constato in prima persona la generosità di Toscani tra il 2016 e il 2018, quando ho modo di parlare con lui al telefono. In questo periodo inizio a strutturare lo schema della mia monografia su Oriana Fallaci e conosco, dalla sua viva voce, quanto lei sia legata alle foto che Toscani le fece a New York. Per la mia monografia penso di chiedere a Toscani almeno quattro foto da inserire nel libro. E riesco, attraverso la segreteria del Vaticano, ad ottenere il suo numero privato. Ma mi risulta difficile chiamarlo: da una parte molte persone mi presentano Toscani come un “mostro sacro”, dall’altra le cure chemioterapiche mi privano della forza persino per sostenere una conversazione telefonica. Mi affido all’aiuto di Edoardo Perazzi, nipote di Oriana e responsabile del suo patrimonio, perché mi presenti a Toscani.
Dopo averne avuto il consenso, mi decido finalmente a chiamarlo. E sin dalle prime battute al telefono cadono d’improvviso tutte le mie resistenze e tutte le voci di chi me lo aveva presentato come una persona “inavvicinabile”. Toscani si accorge che la mia voce è però molto affaticata, e con molta delicatezza mi chiede come procedono le mie cure e soprattutto se il tumore mi dà un po’ di tregua. Ha un’innata propensione all’ascolto: in ogni suo interrogarsi sulle mie condizioni, traspare una sensibilità autentica. Ed è da questi nostri dialoghi che solo nel 2018 prendo coraggio di chiedere a Toscani alcune foto su Oriana per il mio libro. Di quelle telefonate ricordo il suo sorriso coinvolgente e come riesce a togliermi dall’imbarazzo. Esorta a mettermi in contatto con il suo storico e fidato collaboratore Eugenio Evangelista dell’Oliviero Toscani Studio di Casale Marittimo (PI), per farmi inviare i provini del servizio. Mi spetta quindi la scelta di uno scatto di Oriana per la copertina del volume, oltre a tre ulteriori immagini da includere nel testo.
Dopo il nostro colloquio telefonico, Toscani comunica subito a Evangelista: «Se non avete un budget per l’utilizzo, non importa, è un’offerta gratuita da parte del signor Toscani». Ottengo le foto che cercavo, ma non avrei mai immaginato che Toscani mi avrebbe ricontattato per chiedermi di voler visionare la copertina del libro e la foto che avrei utilizzato. Mi comunica «che non gli piace e che debbo utilizzare una delle altre tre che ho a disposizione». Seguo le direttive di Toscani per la copertina del mio volume, che però non è stato ancora pubblicato perché la stesura viene molto rallentata dalle mie condizioni di salute (ma a breve sarà data alle stampe).
Nella sua “missione”, Toscani ha una sola preoccupazione: «Contaminare costantemente il suo lavoro con il suo impegno politico» (p. 50). Impegno politico che deve ricadere in una formazione costante dei suoi giovani che abitano quel centro di ricerca, che vuole chiamare Fabrica. Toscani vuole che Fidel Castro sia il “maestro” di quei giovani che sta per accogliere nella scuola, che ha pensato insieme a Luciano Benetton. Vuole che Castro la diriga, e questo perché vede in lui una figura ideale che funga da pensiero critico verso l’omologazione capitalista. Castro ha sfidato con le sue idee l’impero americano e, come Toscani dichiara in una sua intervista, «a Cuba aveva trovato un mondo che, pur nella povertà, gli sembrava “più umano”».
Il lavoro di Toscani agisce come una scheggia nel fianco del sistema e disturba l’élite del pensiero. Vuole utilizzare il Sacro nelle sue pubblicità togliendolo dai luoghi di culto per portarlo nelle strade; è nella strada che il Sacro cammina con l’uomo. Lui utilizza la pubblicità e la rende oggetto di “discussione”. E come ben capì Toni Negri, uno dei maggiori teorici del marxismo operaista, Toscani «ha capito che fare fotografia significava produrre dei simboli e che non si possono produrre simboli se non si studiano i fenomeni sociali» (p. 73). L’intento di Toscani è a lui chiaro: invita a guardare le sue pubblicità senza preconcetti, e la sua «forza» sta nella capacità di mostrare la verità senza mascherarla. Non cerca mai il «consenso», è soltanto un «disturbatore dell’ordine simbolico» (p. 84). E non possiamo dimenticare che le pubblicità di Toscani non vendono nulla: sono solo il “luogo” in cui le contraddizioni del consumo si “mostrano”.
Toscani usa le sue foto per far “esplodere” il suo contenuto. Un occhio, il suo, che fa rivelare l’«attrito», il «negativo», la «contraddizione» che c’è sul fondo del consumo. Infatti, dire che Toscani è un “provocatore” è una scorciatoia: chi sostiene questo luogo comune, come ad esempio molti vaticanisti, non è in grado di entrare nel merito della sua opera. «Le sue immagini non provocano per provocare, non seducono, disturbano» (p. 98). Nelle sue pubblicità rende visibili le “crepe” della nostra società del consumo. Toscani ci costringe a guardare nelle sue foto ciò che si preferisce occultare (Aids, guerra, pena di morte, anoressia, diversità). Pertanto, la domanda di Toscani è viva più che mai: «Fare affari e impegnarsi per cose sociali è una bestemmia?» (p. 111). Le pubblicità di Benetton per Toscani sono uno strumento di riflessione politica e sociale. Vuole instaurare in Benetton un nuovo dialogo con i consumatori, un dialogo che acquista «profondità» e, come sottolinea Landi, Toscani ci consegna un’importante eredità: «Un uso diverso della pubblicità è possibile» (p. 136). Purtroppo le frequenti polemiche, le critiche dei media, persino le azioni legali, non comprendono mai che per Toscani il potere della comunicazione deve tradursi in «impegno civile».
E pensare che Luciano Benetton ripone tutta la sua fiducia in Toscani anche quando smette di vendere semplici vestiti per “vendere” un’immagine del mondo, un certo tipo di sensibilità. Il “consumatore” capisce cosa succede nel mondo attraverso le foto di Toscani. Le sue pubblicità sono «merce comunicativa, non catechismo etico» (p. 156). E dopo 18 anni, quando quel 14 aprile 2000 Toscani lascia la Benetton, si scatena un cortocircuito: ormai la pubblicità non è più solo un veicolo per vendere, ma un “mezzo” per instaurare un “dialogo” con i consumatori, per sollevare “domande”, “scuotere” coscienze, “rompere” tabù. L’uscita di Toscani da Benetton, tuttavia, lascia l’azienda in una dinamica ormai così consolidata da renderne impossibile qualsiasi inversione di rotta. La sua assenza da Benetton, come la sua morte il 13 gennaio 2025, non interrompe il magnetismo che promanano le sue pubblicità: lui continua ad essere il “rivoluzionario” che non cerca di consolarci, ma di “scuoterci” da quell’abitudine che ci rende “ciechi” all’«accadere» inesorabile del mondo.
Nel tempo dello studio del libro di Landi, e durante la stesura di questo mio scritto, ho modo di confrontarmi con due collaboratori di Toscani, in particolar modo con Eugenio Evangelista e con l’assistente personale di Toscani, Susanna Crisanti. Proprio lei mi conferma che Toscani «ha affrontato la malattia con grande coraggio nonostante non fosse sempre padrone del suo corpo». Le parole di Crisanti sono fonte di grande riflessione: «Toscani non ha mai smesso di pensare e di lavorare e, anche se in maniera ridotta, ha sempre conservato la sua ironia e uno sguardo benevolo sul mondo». «Con la malattia lui era preoccupato di non riuscire più a lavorare, di non portare avanti le sue riflessioni. Ma ciò non avvenne perché Toscani è stato lucido fino agli ultimi istanti della sua vita».
Crisanti diverse volte ha modo di incontrare Toscani durante gli anni della malattia – che non ha mai l’ultima parola sulla vita dell’artista: ha «sempre vissuto con coraggio la malattia, lo stesso coraggio con il quale in modo deciso ha condotto sempre il suo lavoro». Uno dei figli, Rocco Toscani, mi comunica che, nonostante la malattia mini le energie di suo padre, privandolo della possibilità di mantenere i suoi abituali ritmi professionali, nella sfera privata conserva intatta la sua indole. «Continuava a scherzare con spiccata ironia sull’eutanasia, era favorevole a questa “pratica”, anche se questa riflessione era sempre fatta in un clima abbastanza ironico». Rocco mi svela come suo padre, fino alla fine, «ricordava ai suoi figli le regole base di vita sul lavoro e come solo con una buona dose di coraggio si poteva affrontare il mondo». «Mio padre mi ha insegnato il coraggio di non stare mai in silenzio e di porre la mia attenzione su quelle realtà che tutti cercano di non vedere, di occultare».
Infine, mi ricorda che la tenacia di suo padre sul lavoro «era la stessa tenacia che lui ha conservato fino agli ultimi istanti della sua vita». È un grande onore aver potuto rivisitare la missione che Toscani ci consegna nel suo lavoro, come la sua grande eredità culturale, che grazie al libro di Landi è – ancora una volta – restituita al lettore. Con Susanna Crisanti possiamo affermare: «La malattia non ha avuto l’ultima parola sulla vita di Oliviero: la sua opera è viva più che mai».
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