Il fenomeno
Orbita terrestre troppo affollata, rischio di collisione e caduta di detriti
L’orbita terrestre bassa (Low Earth Orbit – LEO), la regione dello spazio che ospita i satelliti per telecomunicazioni, navigazione, osservazione della Terra e ricerca scientifica, sta attraversando una fase di crescente instabilità. Un nuovo studio scientifico mette in evidenza come l’attuale configurazione della LEO sia diventata un sistema altamente interdipendente e vulnerabile, nel quale un singolo errore operativo potrebbe innescare una collisione significativa in un arco di tempo sorprendentemente breve, inferiore ai tre giorni. Secondo i ricercatori, la causa principale di questa fragilità è l’aumento esponenziale del traffico orbitale dovuto alla diffusione delle mega-costellazioni satellitari. Negli ultimi anni, migliaia di nuovi satelliti sono stati immessi in orbita a quote simili, trasformando uno spazio un tempo relativamente libero in un ambiente complesso, in cui le distanze di sicurezza si riducono drasticamente. All’interno di queste costellazioni, i satelliti si avvicinano frequentemente a distanze inferiori al chilometro, rendendo necessarie manovre continue di anti collisione.
La gestione di questo traffico dipende in larga parte da sistemi automatici di navigazione e controllo. Software, algoritmi e reti di comunicazione devono operare in modo continuo e coordinato per prevenire gli impatti. Lo studio sottolinea come questa dipendenza tecnologica, pur essendo efficiente, introduca una nuova vulnerabilità: un malfunzionamento, un errore di programmazione o una temporanea perdita di comunicazione potrebbero propagarsi rapidamente, riducendo la capacità di risposta dell’intero sistema orbitale. Per quantificare questo rischio, gli autori introducono un indicatore denominato Crash Clock, progettato per stimare il tempo massimo durante il quale l’orbita può restare senza manovre correttive prima che una collisione diventi probabile. L’evoluzione di questo parametro è indicativa della rapidità con cui la situazione si è deteriorata. Nel giro di pochi anni, il margine di sicurezza si è ridotto da diversi mesi a meno di tre giorni, segnalando un livello di fragilità sistemica mai registrato in precedenza.
Le conseguenze di una collisione in orbita bassa andrebbero ben oltre la perdita di uno o due satelliti. Un impatto potrebbe generare migliaia di frammenti di detriti, ciascuno dei quali diventerebbe a sua volta un potenziale proiettile in grado di colpire altri oggetti. Questo processo, noto come effetto Kessler, rischierebbe di innescare una cascata di collisioni capace di compromettere in modo duraturo l’utilizzabilità di alcune fasce orbitali. I servizi che dipendono da queste infrastrutture, come la navigazione satellitare, le comunicazioni globali, le previsioni meteorologiche e il monitoraggio ambientale, subirebbero ripercussioni dirette. Lo studio individua nelle grandi costellazioni commerciali uno dei fattori principali dell’attuale congestione. In particolare, l’elevato numero di satelliti appartenenti a pochi operatori contribuisce in modo significativo all’aumento della densità orbitale e alla frequenza dei quasi-incidenti. Tuttavia, i ricercatori sottolineano che il problema non può essere ridotto a un singolo attore, ma riguarda l’intero modello di sviluppo dello spazio orbitale.
A rendere il quadro ancora più critico è l’assenza di un sistema globale e vincolante di gestione del traffico spaziale. Le norme internazionali esistenti risultano frammentarie e spesso inadeguate rispetto alla velocità con cui il settore si sta espandendo. Senza regole condivise, standard tecnici comuni e responsabilità chiaramente definite, la capacità di prevenire incidenti gravi resta limitata. L’orbita terrestre bassa, un tempo considerata una risorsa praticamente inesauribile, si rivela oggi un’infrastruttura fragile e finita. Lo studio lancia un avvertimento chiaro: continuare ad aumentare il numero di satelliti senza un salto di qualità nella governance e nella gestione del traffico orbitale significa avvicinarsi a un punto di non ritorno. La sostenibilità dello spazio, ormai parte integrante della vita quotidiana sulla Terra, dipende dalla capacità di riconoscere questo limite e di intervenire prima che il sistema collassi.
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