Nessuno mette in discussione che il Piano Mattei per l’Africa sia stata una felice intuizione del Governo italiano. L’aspetto innovativo non è tanto rappresentato dal rapporto “paritario e non predatorio” ripetutamente sottolineato dal nostro esecutivo, visto che l’Italia repubblicana ha sempre avuto una relazione egualitaria con gli Stati africani e ha anche svolto un ruolo non trascurabile nel loro processo di decolonizzazione.

Le risorse destinate all’Africa

Dalla fine del fascismo ai nostri giorni, il rapporto dell’Italia con l’Africa non è stato né predatorio, né ineguale, ma si è anzi caratterizzato per una preminenza della componente cosiddetta “people to people”, cioè spontanea e non imposta, fra i popoli e fra le comunità: religiosi, medici, insegnanti, imprenditori, commercianti, cooperanti, volontari, politici e diplomatici, a prescindere dai rispettivi Governi al potere, hanno percorso nei due sensi il ponte robusto che unisce Africa ed Italia da decenni, o addirittura da secoli (escludendo il periodo coloniale, in cui sì fummo predatori e prevaricatori). La parte innovativa, concreta e più credibile del Piano Mattei è piuttosto di aver individuato chiaramente le risorse finanziarie da destinare, in un arco di tempo di 3-4 anni, a una serie di iniziative nel Continente africano, cioè i 5 miliardi e mezzo di euro di cui si è dotato, in settori definiti (agricoltura, salute, energia, acqua, istruzione, formazione), per una compagine di 14 Paesi prioritari, suscettibili di aumentare in futuro.

L’ambito dei diritti

Ma fra gli ambiti di intervento ce n’è in particolare uno, la cui assenza, per un Paese con le nostre tradizioni giuridiche, stride e non si spiega: quello dei diritti delle persone, in tempo di pace e in tempo di guerra; del buon governo; della buona amministrazione; della creazione di capacità (capacity building) correlate al diritto; di ciò che viene definito dagli anglosassoni “rule of law” (non adoperiamo volutamente il termine democrazia, vista la sua crisi, purtroppo, anche in ambito occidentale). Esiste un’opinione errata fra i neo-esperti di Africa che parlare di diritti umani o di buon governo con i leader africani equivalga a voler imporre un punto di vista estraneo alle sensibilità autoctone, manifestando una sorta di superiorità “occidentale”, e attuando una sgradita interferenza. Per cui neanche si è fatto troppo rumore, da parte dell’UE, quando con un impressionante effetto domino, fra il 2020 ed il 2022, ben 7 Paesi africani-Mali, Burkina Faso, Niger, Sudan, Guinea, Gabon e Ciad- hanno subìto l’avvento di regimi militari attraverso un colpo di Stato. Non è così, per fortuna.

I principi solenni

L’African Union, massimo organismo rappresentativo delle istanze dei 54 Paesi africani, nei suoi documenti fondamentali, come la Carta Istitutiva dell’Unione, l’agenda 2063 per gli obiettivi sostenibili del Continente, o la Carta africana per la Democrazia, le Elezioni e il Buon Governo (del 2012) contengono decine di richiami al rispetto dei principi democratici e dei diritti umani, alle consultazioni elettorali, agli organismi intermedi, alla separazione dei poteri, ai diritti dei minori, delle donne e delle comunità, con varie sottolineature all’esigenza “che nessuno rimanga indietro”. Paradossalmente, tali principi sembrano oggi affermati più solennemente in Africa, che in Occidente; tant’è vero che gli Stati golpisti sono ancora sospesi dalla membership dell’African Union, e lo saranno finché non organizzeranno delle regolari elezioni che sanciscano il ritorno all’impianto costituzionale. Quando si varano dei piani economico-finanziari cospicui, come il Piano Mattei, che prevedono l’erogazione di notevoli somme di denaro con meccanismi complessi, sarebbe quanto mai opportuno accompagnarli in parallelo da altrettanto rilevanti operazioni a salvaguardia dei diritti delle persone, dei minori, delle donne, dei soggetti vulnerabili, delle comunità; o contro fenomeni di corruzione, dislocamenti delle popolazioni, espropri forzosi; ed altresì per l’aggiornamento dei codici e delle leggi, per la formazione dei giudici e degli avvocati, per la responsabilizzazione in senso lato dei politici e degli amministratori, per il rafforzamento delle strutture intermedie come associazioni, sindacati, ONG, stampa, partiti, gruppi di opinione, etc.

Gli ambiti di intervento

È vero che il Piano Mattei richiama alla formazione e all’istruzione; ma non ne specifica in maniera chiara gli ambiti di intervento, e sembra riferirsi più che altro al training professionale delle categorie produttive. Il nostro Paese, che già ha ricevuto felicitazioni dai leader africani per il Piano Mattei, lanciato nel gennaio 2024 durante il primo Summit Italia-Africa di Roma, riceverebbe un plauso ancora maggiore se avesse ora la sensibilità ed il coraggio di lanciare senza esitazioni un grande “Piano Mattei dei diritti”, slegato dalle priorità economico-finanziarie, quindi sicuramente non predatorio, e fondato invece sul rafforzamento dello Stato di diritto e delle libertà civili, almeno quelle più condivisibili. D’altronde è proprio la Fondazione africana Mo Ibrahim ad aver messo recentemente in guardia sul notevole arretramento della democrazia e del buon governo in Africa nell’ultimo decennio. Un tema al quale sarebbe controproducente per l’Italia, per l’Europa e per ciò che resta dell’Occidente rimanere insensibili, in un’epoca in cui si riversano prepotentemente sul Continente le attenzioni strategiche di Russia, Cina, Turchia, Monarchie del Golfo e altri nuovi attori.

Giuseppe Mistretta

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