La recensione
Romanzo senza umani, il disgelo
L’ultimo romanzo di Paolo Di Paolo, edito da Feltrinelli
“In assenza di occhi umani, la catasta di uccelli precipitati sul ghiaccio non suscita nessuno stupore.” Inizia così l’ultimo romanzo di Paolo Di Paolo, appunto: Romanzo senza umani (Feltrinelli), che segna il ritorno dell’autore alla narrativa, dentro un vortice di libri nati dal dialogo con i grandi scrittori, Dacia Maraini, Raffaele La Capria, Antonio Tabucchi, Claudio Magris, e di testi per il teatro, e saggi, e storie per l’infanzia o per l’adolescenza.
Al posto degli umani, in questa storia c’è uno sconfinato gelo che ha seccato le acque del lago, a cui lo storico Mauro Barbi dedica anni di studio, in una lastra raggelata e immobile. E tuttavia, nulla è fermo, così come nulla davvero smette di essere o sarà per sempre. Allora ecco che quell’inverno che travolse l’Europa con l’incedere di venti glaciali, di piogge incessanti e di violente grandinate, diventa la metafora d’una stagione che è profondamente umana: un punto della vita in cui ci si può permettere di camminare sulla patina di ghiaccio dei propri ricordi, facendosi prendere dalla tentazione di scoprire cosa si agiti al di sotto.
Chi siamo stati per le persone a cui abbiamo voluto bene? O stringendo l’inquadratura: quale impressione conservano oggi di noi, gli uomini e le donne che abbiamo amato? L’obiettivo del professor Barbi si rende chiaro: con quell’ostinazione che è tipica dell’archivista, quasi si potesse recuperare le pagine del passato e catalogarle in una serie di postille a chiarificare il tutto, l’uomo intende costruire la “memoria condivisa” che lo riguarda. Se la molla che lo spinge nell’impresa abbia a che fare più col narcisismo o con la solitudine non importa. Ciò che acquista importanza è il disgelo progressivo che, come il suo amato lago, Barbie compie da una sponda all’altra di quest’angolo intirizzito della sua storia. Eccolo ripiombare nelle vite di chi ha fatto parte della sua, rispondere a mail rimaste silenti sulla schermata del computer per quindici anni, presentarsi al cospetto di chi c’era prima e: riannodare i fili.
È stato capace di amare abbastanza? È stato, lui stesso, amato abbastanza? Sarà sufficiente il coraggio di chiederselo affinché l’intima era glaciale inizi a mostrare un’incrinatura. Il disgelo. Mentre l’ossessione si fa pressante: cosa ricordano gli altri di me? Domanda che potrebbe sembrare oziosa, ma non lo è, non nella misura in cui nasce sotto la pellicola fragile dei sensi di colpa o dei rimpianti – poteva andare diversamente, e se sì, fino a quando si può raddrizzare la propria vita e sfuggire al gelo? “Forse, semplicemente, dovrei chiamarla paura”, ammette Barbie, “di essere ricordato male, o per niente. Come uno scomparso da vivo, uno che non è mai esistito.” Ad alimentare la forma sfocata del rimorso, c’è la nostalgia. Ma anche qui, Di Paolo non assegna al protagonista un confine netto in cui muoversi nel proprio passato, sulle orme di quanto già accaduto, e sceglie invece di costringere Barbie nell’indeterminatezza, fasciarlo con questa “nostalgia del niente” che accelera per sottrazione e palpita in assenza di una scena madre a offrirci un punto di rottura da cui il gelo ha inizio.
È un romanzo emotivo perché prismatico, poco regolato dalla concatenazione di una causa e i suoi effetti. Un romanzo audace, e volutamente indefinito, come lo sono i sentimenti, come lo è in particolare quello della nostalgia. In quanto storico, a Barbie è permesso di predire soltanto il passato. Allo stesso modo, in quanto uomo, Barbie non ha altra scelta che ripartire da lontano per slegare tutti i nodi e concedersi d’intrecciare nuovi fili. C’è un amore finito. Una donna, Anna, seppellita dentro una scatola di fotografie. Chissà se le ondate di freddo che colpirono il lago su cui il professore ha concentrato le sue attenzioni, non siano pronte a tramutarsi in altro. I cambiamenti avvengono in natura così come nel nostro animo, e nelle relazioni con gli altri, colleghi, amici, amanti fugaci o amori. Il punto, sembra voler dire Di Paolo, è la capacità adattiva di ognuno di noi. L’ostinazione. La ripartenza. E poi, si sa, il ghiaccio sotto di sé conserva.
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