La sua vita venne passata ai raggi X
La rivincita di Cosimo Ferri, dalla gogna giudiziaria al boom di voti tra i giudici tributari italiani

“Bisogna avere pazienza”. È la frase che ripete spesso il giudice Cosimo Ferri, neo eletto al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Dopo essere stato oggetto negli ultimi anni di attacchi violentissimi, Ferri si è preso lo scorso fine settimana una bella rivincita essendo il secondo più votato fra i giudici tributari italiani. Un exploit che risulterà però difficilmente comprensibile a coloro che non conoscono la “pancia” dei magistrati. Per una parte dell’opinione pubblica, infatti, Ferri è un “impresentabile”.
Figlio di Enrico, anch’egli magistrato, più volte parlamentare dell’allora Psdi e ministro dei Lavori pubblici per un anno, Ferri fin dall’inizio della sua carriera professionale ha rappresento l’opposto del modello di riferimento del magistrato che deve essere schierato apertamente a sinistra, senza fare mistero di esserlo. Segretario di Magistratura indipendente, la corrente di “destra” fortemente avversata dalle toghe rosse di Magistratura democratica, nel 2012 risultò il più votato alle elezioni dell’Anm, sbaragliando la giunta di centrosinistra guidata dal tandem Luca Palamara-Giuseppe Cascini che dal 2008 portava avanti una opposizione durissima al governo Berlusconi. Pur a fronte dell’ottimo risultato, a Ferri venne preclusa la presidenza dell’Associazione.
L’anno successivo entrò allora nel governo di larghe intese guidato da Enrico Letta come sottosegretario alla giustizia, incarico confermato anche con i successivi governi Renzi e Gentiloni. Nel 2018 il grande salto in Parlamento con il Pd che lasciò esterrefatti i colleghi di Md i quali per anni avevano sempre avuto un filo diretto con il Pci-Pds-Ds-Pd e che lo vedevano dunque come un “usurpatore”. Come poter regolare i conti? L’occasione migliore venne offerta su un piatto d’argento dall’indagine di Perugia nei confronti di Palamara per corruzione. Un procedimento penale che, come si scoprirà, era invece finalizzato a conoscere come avvenivano le nomine da parte del Consiglio superiore della magistratura e che a Ferri costerà l’accusa disciplinare di aver tenuto un comportamento “gravemente scorretto” nei confronti dei colleghi che concorrevano per il posto di procuratore di Roma e dei consiglieri di Palazzo dei Marescialli al fine di “condizionare le funzioni attribuite dalla Costituzione all’organo di governo autonomo della magistratura”.
Il procedimento disciplinare era basato solo sulle intercettazioni effettuate tramite il trojan inserito nel cellulare di Palamara e che registrò i colloqui fra loro due, il deputato Luca Lotti (Pd) e cinque consiglieri del Csm, la sera dell’8 maggio 2019 all’hotel Champagne di Roma. Palamara, è importante ricordarlo, era stato sottoposto a marzo del 2019 ad intercettazione dalla Procura di Perugia in quanto accusato di episodi di corruzione, l’ultimo commesso nel 2016. A parte tale intercettazione a distanza di tre anni, gli inquirenti ascoltarono solo il suo telefono e non quelli dei presunti corruttori. Circostanza assai curiosa dal momento che nel reato di corruzione, reato a concorso necessario, la presenza di almeno due soggetti, il corrotto ed il corruttore, rappresenta l’elemento costitutivo fondamentale dell’ipotesi delittuosa. Gli inquirenti erano interessati a conoscere i “rapporti fra Ferri e Palamara”, dirà l’avvocato Luigi Panella, suo difensore al Csm.
In quel periodo la corrente centrista di Unicost, rappresentata da Palamara, aveva mollato la sinistra giudiziaria e si era avvicinata a Magistratura indipendente, come raccontato nel libro “Il Sistema” del direttore Alessandro Sallusti. Tale patto aveva portato a molte nomine importanti e si preparava al voto per il procuratore di Roma. Gli investigatori si sono sempre giustificati con la “casualità” degli ascolti di Ferri. Una tesi però smentita dalla presenza di verbali di pedinamenti a suo carico nel fascicolo di Palamara. Per mesi i finanzieri monitorarono, in maniera illegittima, la vita di un parlamentare della Repubblica. Tutte le conversazioni con Palamara furono classificate “importati” e trascritte, pur sapendo che Ferri non poteva essere intercettato. La vita di Ferri venne passata ai raggi X, coinvolgendo anche il figlio minorenne, oggetto pure di accertamenti alla banca dati della finanza Serpico. Nell’indagine di Palamara il nome di Ferri comparve ben 374 volte. Difficile poi dire che non fosse oggetto delle attenzioni degli inquirenti quando un paragrafo dell’informativa era dedicato proprio alle sue conversazioni prive di rilevanza penale. Ma non solo: le conversazioni fra Palamara e Ferri furono utilizzate addirittura per giustificare la proroga delle intercettazioni in quanto per i finanzieri i rapporti fra i due sarebbero stati caratterizzati da una non meglio specificata “opacità”.
Se il disciplinare è tornato ai blocchi di partenza dopo il voto del Parlamento che aveva negato l’autorizzazione all’uso di tali captazioni, lo scorso anno il Csm più screditato della storia gli aveva aperto, per condotte commesse circa dieci anni fa, un altro disciplinare. Ferri, quando era sottosegretario, aveva accompagnato da Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli a Roma il consigliere di Cassazione Amedeo Franco, relatore della sentenza che nel 2013 condannò in via definitiva il Cav per frode fiscale nel processo Mediaset per i diritti televisivi. Franco, morto nel 2019, davanti all’ex premier aveva sposato la tesi che i giudici della sezione feriale della Cassazione fossero stati prevenuti nei confronti di Berlusconi il quale si sarebbe allora trovato davanti ad un “plotone d’esecuzione”. Aver accompagnato Franco da Berlusconi aveva determinato per Ferri nuovamente l’accusa di “grave scorrettezza”. Condannato alla perdita di due anni di anzianità, le sezioni unite civili della Cassazione il mese scorso hanno annullato la sanzione. “Sia la mera partecipazione che l’organizzazione di riunioni private costituiscono oggetto di un diritto costituzionale, il cui esercizio non è sindacabile sotto il profilo dello scopo e dell’oggetto della riunione”, aveva scritto il giudice Guido Raimondi. “Bisogna avere pazienza”, dice sempre Ferri.
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