L’assoluzione dell’ex funzionaria del Consiglio superiore della magistratura Maria Marcella Contraffatto, addetta negli ultimi anni del suo servizio alla segreteria di Piercamillo Davigo e licenziata in tronco proprio a causa di questo procedimento, dall’accusa di aver provato a denigrare l’allora procuratore di Milano Francesco Greco, è destinata a riservare delle sorprese dirompenti.

Con riferimento alla oramai nota vicenda della diffusione dei verbali della loggia Ungheria consegnati dal pm milanese Paolo Storari a Davigo, il giudice Nicolò Marino scrive nelle motivazioni rese note questa settimana, che “il racconto offerto” a Brescia il 15 novembre scorso dove si sta svolgendo il processo nei confronti dell’ex pm di Mani pulite “dal consigliere Cascini nel corso dell’esame e del controesame cui è stato sottoposto ci consegna un’immagine preoccupante ed assai allarmante del Consiglio superiore della magistratura, che ancora una volta sembrerebbe avere operato -in questa o in altre vicende -non sulla base di conoscenze, rituali comunicazioni e/o atti formalmente acquisiti dall’organo di autogoverno della magistratura, bensì nella logica -si consenta-della “congiura di Palazzo”. Inoltre, Cascini viene sostanzialmente ‘accusato’ di non essersi “scandalizzato” e di non aver respinto “la richiesta di consulenza fatta dal dottor Davigo circa la credibilità di Amara (Piero), come se fosse possibile accettare uno sdoppiamento di ruolo del dottor Cascini, quale componente di un organo collegiale di alta amministrazione e di magistrato della Procura di Roma”.

E come se non bastasse, di non aver sentito “il dovere di interrom­pere la catena di divulgazione dei verbali di Amara, addirit­tura interloquendo sugli stessi alla presenza non solo del dot­tor Davigo, ma anche dei con­siglieri Pepe (Ilaria, ndr) e Marra (Giuseppe)”. Cascini, in altre parole, non ha “denuncia­to alla competente autorità giudiziaria quegli accadimenti, come sarebbe stato logico pretendere da un pubblico uf­ficiale che avesse avuto la di­sponibilità di verbali costi­tuenti corpo di reato e la piena consapevolezza (e dallo stesso la si poteva pretendere) della possibile consumazione, da parte del dottor Storari e del dottor Davigo, del reato” di ri­velazione di segreto. Questa gravissima affermazione ha portato il giudice Marino a di­sporre la trasmissione degli atti alla Procura di Roma nei confronti di Cascini per omes­sa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale.

Ora il procuratore di Roma Francesco Lo Voi si troverà costretto suo malgrado ad iscrivere nel registro degli indagati Cascini proprio nel momento in cui era oramai prossimo ed imminente il suo ritorno alla Procura della Capitale avendo cessato il suo mandato consiliare. Ma anche il nuovo Csm sarà chiamato a dipanare la matassa: come disporre il rientro in ruolo di Cascini proprio in quello stesso ufficio dove risulterà essere indagato? A prescindere dai clamorosi sviluppi che la vicenda in questione potrà riservare, è indubbio che dopo la frenetica e vendicativa rimozione di Luca Palamara all’interno della magistratura si sia scatenato uno tsnunami. Come racconta un magistrato è scattata l’idea di una categoria nella quale finirà che ognuno si mangerà un altro.
Ha iniziato Piercamillo Davigo, ora tocca a Cascini e Marra, tralasciando le vicende che hanno coinvolto nei mesi scorsi i pm milanesi, ad iniziare dall’ex procuratore Francesco Greco.
I ben informati delle vicende consiliari raccontano che la corrente di sinistra Area non ha mai perdonato a Davigo il voto espresso il 23 maggio del 2019 a favore di Marcello Viola per la Procura di Roma considerato all’epoca il candidato di Palamara e Cosimo Ferri.