Nel pieno delle celebrazioni in pompa magna per il trentennale di Mani pulite, ecco arrivare dal tribunale di Brescia il rinvio a giudizio per Piercamillo Davigo, imputato per rivelazione di segreto di ufficio per la vicenda della diffusione dei verbali delle dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara sulla Loggia Ungheria. Lo ha deciso ieri la gup Federica Brugnara. Il dibattimento inizierà il prossimo 20 aprile.

E sempre ieri si è celebrata l’udienza del processo nei confronti del pm milanese Paolo Storari, accusato dello stesso reato, che aveva invece scelto il rito abbreviato. La Procura ha chiesto il minimo delle pena: sei mesi di prigione. La sentenza il prossimo 7 marzo. Finisce così, alla sbarra, la parabola del magistrato simbolo di Tangentopoli che solo l’altro giorno aveva rilasciato l’ennesima intervista fiume al Fatto Quotidiano in cui ripercorreva quel periodo eroico.
La vicenda nasce a marzo del 2020, una volta terminati in Procura a Milano gli interrogatori di Amara, noto alle cronache per essere anche fra i principali accusatori di Luca Palamara nel processo di Perugia.

Amara aveva rivelato ai magistrati, che lo interrogavano sui suoi rapporti con l’Eni, l’esistenza di una loggia massonica super segreta denominata “Ungheria” e composta da magistrati, imprenditori, professionisti, alti ufficiali delle Forze di polizia, il cui scopo sarebbe stato quello di pilotare le nomine dei capi degli uffici giudiziari al Consiglio superiore della magistratura e aggiustare i processi. Ad interrogare Amara erano stati Laura Pedio, vice del procuratore Francesco Greco, e Storari. Visto che verbali, dove Amara aveva fatto i nomi di decine di appartenenti alla loggia, erano rimasti sulla scrivania dei magistrati senza che ci fosse alcun sviluppo investigativo, Storari decise di giocare il jolly, informando dell’accaduto Davigo, all’epoca consigliere del Csm e con il quale era in grande confidenza.

Ricevuti da Storari i verbali di Amara, Davigo cominciò a fare il giro delle sette chiese al Csm, portandoli a conoscenza del vice presidente del Csm David Ermini, del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, di alcuni consiglieri, e addirittura del presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra (M5s) in un colloquio sulle scale di Palazzo dei Marescialli per paura di essere intercettati da qualche trojan. Andato in pensione Davigo per raggiunti limiti di età ad ottobre del 2020, i verbali di Amara, che erano conservati fino a quel momento nel suo ufficio al Csm, arrivarono alle redazioni di Repubblica e del Fatto Quotidiano che, però, decisero di non pubblicarli. La postina sarebbe stata la segretaria di Davigo, Marcella Contraffatto. Storari, per giustificare la sua azione irrituale aveva affermato che, terminata la verbalizzazione di Amara, era intenzionato ad effettuare le prime iscrizioni nel registro degli indagati dei soggetti che avrebbero fatto parte dalla loggia e all’acquisizione dei loro tabulati telefonici.

Ma i suoi capi, intenzionati a “salvaguardare” Amara da possibili indagini in quanto utile come teste nel processo Eni-Nigeria in corso all’epoca a Milano, avevano stoppato sul nascere le sue voglie investigative. Davigo, invece, si era giustificato dicendo che «se c’è un soggetto che fa delle dichiarazioni di estrema gravità, che siano vere o false, o che siano in parte vere e in parte false, è necessario fare le indagini per saperlo». Tutto finto per la Procura di Brescia: lo scopo di Davigo non sarebbe stato far luce su quanto accadeva in Procura a Milano ma solo trovare una scusa per motivare al Csm la rottura dei rapporti con il pm Sebastiano Ardita il cui nome compariva nell’elenco di Amara. Una rottura drammatica dal momento che i due avevano scritto insieme un libro, edito dalla casa editrice del Fatto Quotidiano, e avevano condividendo le medesime scelte correntizie.

«Senza le condotte illecite compiute da Davigo e Storari, Ardita non avrebbe subìto la massiva infamante divulgazione di quelle informazioni riservate», hanno sostenuto i legali di Ardita che si è costituito parte civile. La consegna dei verbali, e la successiva diffusione sulla stampa, avrebbero determinato “evidenti danni” ad Ardita vista l’infondatezza delle dichiarazioni di Amara. Le indagini su Ungheria, però, non le ha fatte ancora nessuno.