Sulla Loggia Ungheria bisognava fare le indagini. Parola di Giuseppe Cascini, procuratore aggiunto a Roma e attuale componente del Consiglio superiore della magistratura. Sentito ieri in qualità di testimone nel processo a Brescia per rivelazione del segreto nei confronti di Piercamillo Davigo, Cascini ha ‘sconfessato’ quanto raccontato in questi mesi dagli allora vertici della Procura di Milano, dando sostanzialmente ragione al pm Paolo Storari che aveva sempre parlato di “inerzia” nel fare accertamenti sul sodalizio paramassonico. L’esistenza della Loggia era stata rivelata, alla fine del 2019, dall’avvocato Piero Amara, poi diventato la gola profonda di almeno cinque Procure. Le dichiarazioni di Amara, per Cascini, “erano esplosive ed è mia convinzione che fosse preciso dovere della Procura di Milano fare un’indagine per capire se fossero vere, visto che erano coinvolte personalità delle principali istituzioni del Paese”.

Amara aveva fatto decine di nomi, fra alti magistrati, esponenti delle forze dell’ordine e professionisti, tutti accomunati in quella che, sempre secondo Cascini,era in sostanza la prosecuzione della P2 e aveva la sua base in Sicilia”. Davanti a questo scenario inquietante, la Procura di Milano, all’epoca diretta da Francesco Greco, ora consigliere per la legalità del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, era in una situazione di “stallo” e “non aveva fatto alcuna iscrizione” nel registro degli indagati. Cascini, preoccupato per l’inattività milanese, ha poi svelato un particolare a dir poco sorprendente. Pare, infatti, che i verbali delle dichiarazioni di Amara, finiti in questi mesi tutti i giornali, non vennero mai trasmessi al Csm. “Ritenni che il procuratore di Milano, non trasmettendo al Consiglio, non stava facendo il suo dovere: non stava rispettando la circolare che prevede che atti di fatti di possibile rilievo a carico di magistrati devono essere trasmessi al Csm anche se c’è il segreto, a meno che ci siano particolari esigenze investigative”, ha affermato Cascini, ‘giustificando’ così la decisione di Storari di consegnarli a Davigo: “Era una richiesta di consiglio” come “tante volte anche a me è capitato di ricevere dai colleghi” più giovani e, quindi, “non era una cosa che mi sembrava anormale. Era una comunicazione informale di un collega”.

Amara era una vecchia conoscenza di Cascini in quanto in passato lo aveva indagato a Roma. Davigo, allora, gli chiese cosa ne pensasse e Cascini rispose che quanto raccontato Amara “faceva tremare i polsi, ma la narrazione non era solida. La prima percezione è che si trattasse di un mischio di verità e finzione e quindi, il mio parere di pubblico ministero, è che bisognava fare indagini”. Indagini che, come si è visto, non furono mai effettuate lasciando per sempre il dubbio se la Loggia sia esistita o meno. E sempre ieri a Brescia ha testimoniato anche il pm antimafia Nino Di Matteo, il primo a svelare l’esistenza del sodalizio paramassonico in Plenum, raccontando di una riunione molto ‘particolare’ del gruppo di Autonomia&indipendenza a marzo 2020 in vista della nomina del nuovo procuratore di Roma. Oltre a Di Matteo, all’incontro erano presenti Davigo, il pm Sebastiano Ardita, la giudice Ilaria Pepe e l’ex consigliere del Csm Alessandro Pepe.

Di Matteo e Ardita avrebbero detto che non era pronti a votare per Michele Prestipino, allora vice di Giuseppe Pignatone. A quel punto Davigo “con una veemenza inaudita e grida che si potevano sentire nella stanza accanto” rispose ad Ardita che se non avesse votato Prestipino era “fuori da tutto”, aggiungendo che era “con quelli dell’Hotel Champagne”. Anche Di Matteo iniziò ad urlare dicendo che “quel gruppo era peggio degli altri, perché non si consentiva ai consiglieri di votare secondo coscienza i propri candidati” e, guardando in faccia Davigo: ‘Non mi sono fatto condizionare dalle minacce di morte di Totò Riina, figuriamoci se mi faccio minacciare dalle tue minacce”. Proprio un bell’ambiente.