Ed ora qualcuno si deciderà ad indagare sulla loggia segreta “Ungheria”? Il Consiglio superiore della magistratura ha “salvato” ieri dal trasferimento di sede, e dal cambio di funzioni, il pm milanese Paolo Storari. Il magistrato, in passato fra i più stretti collaboratori di Ilda Boccassini, a differenza dei suoi capi voleva fare accertamenti su questa associazione segreta, la cui esistenza era stata rivelata dall’avvocato Piero Amara durante alcuni interrogatori a Milano alla fine del 2019.

Storari era finito nel mirino del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, che aveva dato credito alle relazioni del procuratore del capoluogo lombardo Francesco Greco e della sua vice Laura Pedio.

Secondo Salvi, il comportamento di Storari avrebbe gettato “discredito” su Greco e Pedio, «non messi anticipatamente al corrente di un effettivo e formalizzato dissenso sulla conduzione dell’indagini», poi oggetto di una «una sotterranea campagna di discredito oggettivamente posta in essere da Storari, per giunta all’interno del Csm».

Il pm milanese, dopo aver interrogato Amara, e vista l’inerzia dei propri capi ad approfondire, aveva consegnato i verbali all’allora componente del Csm Piercamillo Davigo, in modo del tutto irrituale e senza seguire le circolari (per questa condotta i due sono ora sotto indagine per rivelazione del segreto a Brescia, ndr). Storari, inoltre, non avrebbe «formalizzato alcun dissenso sulle presunte lentezze o manchevolezze dell’indagine».

Il magistrato aveva respinto le accuse, venendo quindi creduto dalla Sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli, presieduta dal laico in quota Lega Emanuele Basile, affermando di avere più volte fatto solleciti “a voce” alla contitolare del fascicolo, l’aggiunto Pedio, a Greco e all’altro vice Fabio De Pasquale, e di non aver pertanto potuto «ritualmente prospettarli».

L’ex pm di Mani pulite, come si ricorderà, dopo aver avuto i verbali di Amara da Storari, aveva deciso a sua volta di farli vedere a diversi componenti del Csm, fra cui il vice presidente David Ermini, i togati Giuseppe Cascini e Giuseppe Marra, il laico Fulvio Gigliotti (M5s) e lo stesso Salvi.

Storari, su questa vicenda, era stato a lungo interrogato lo scorso maggio davanti ai pm bresciani. Verbalizzate le dichiarazioni di Amara alla fine di dicembre del 2019, raccontò Storari, aveva chiesto dunque di poter effettuare le prime iscrizioni nel registro degli indagati e l’acquisizione dei tabulati telefonici a riscontro delle parole dell’avvocato siciliano. Nello stesso periodo circa, ossia a gennaio 2020, Greco e Pedio avevano portato a Brescia un passaggio di un verbale di Amara, nel quale quest’ultimo gettava ombre sul presidente del collegio del processo Eni-Nigeria, Marco Tremolada, e su presunte “interferenze” delle difese Eni sul giudice. Venne aperto un fascicolo dai pm bresciani che nei mesi successivi fu archiviato. Intanto, a febbraio 2020 l’aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro, poi indagati a Brescia per rifiuto di atti d’ufficio, chiesero ai giudici del processo Eni-Nigeria di fare entrare come teste nel dibattimento Amara e pure quelle presunte “interferenze” delle difese su Tremolada. Il collegio era all’oscuro di quelle dichiarazioni depositate a Brescia.

Secondo Storari ci sarebbe stata, allora, una precisa linea da parte dei vertici della Procura di Milano che prevedeva di “salvaguardare” Amara da possibili indagini per calunnia, perché quest’ultimo sarebbe tornato utile come teste. Allo stesso modo, sempre secondo Storari, tutte le prove da lui raccolte sull’ex manager Vincenzo Armanna, tra cui chat falsificate e molto altro, nel fascicolo sul cosiddetto “falso complotto Eni” non vennero prese in considerazione sempre da Greco, De Pasquale, Pedio e Spadaro, e né vennero depositate nel processo. Anche in questo caso perché Armanna, “grande accusatore”, non poteva essere “screditato”.

Il fascicolo sul “falso complotto Eni” risulta pendente dal 2017. La Procura generale di Milano stava valutando nelle scorse settimane la sua avocazione.