Ma che fine ha fatto la loggia Ungheria? Nessuno ne parla più a cominciare dai giornali, da chi fa le indagini, dal Csm. Eppure l’avvocato Piero Amara introducendo l’argomento a verbale l’aveva descritta come un’associazione segreta nata con lo scopo di condizionare le nomine e le decisioni interne alla vita giudiziaria e politica italiana. Piero Amara era stato condannato e inquisito per i depistaggi contro l’Eni e per episodi di corruzioni in atti giudiziari. Sulla loggia Ungheria formalmente indaga la procura di Perugia (oltre a quella di Milano) diventata una sorta di crocevia della storia nazionale e non solo perché sede di accertamenti sui magistrati in servizio a Roma.

Amara, più volte arrestato, di recente è ritornato in libertà dopo aver fatto alcune ammissioni davanti ai magistrati di Potenza, ma senza fare più accenni alla famosa loggia. A pensare male si fa peccato come sosteneva Andreotti ma si può anche azzeccare la verità. Insomma può nascere il sospetto che l’avvocato siciliano prima abbia tirato la pietra nello stagno e poi con il suo silenzio abbia fatto un favore a chi punta a non approfondire l’argomento della loggia Ungheria. Noi non sappiamo se questa loggia esista o meno però siccome ne farebbero parte secondo quanto è stato ipotizzato magistrati, giudici, imprenditori ufficiali di polizia e carabinieri insieme ad altri importanti personaggi, non si può far finta di niente.

Espliciti riferimenti alla loggia sono stati trovati nel computer di Amara dai pm di Milano che avevano usato il legale siciliano come una sorta di “testimone della corona” nel processo Eni-Nigeria finito ingloriosamente per l’accusa. Il pm milanese Paolo Storari aveva consegnato i verbali di Amara a Piercamillo Davigo all’epoca consigliere del Csm. Una procedura sicuramente anomala. Storari è indagato a Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio. Nulla si sa invece della sorte di Davigo. Risulta che il procuratore di Brescia Francesco Prete ex pm a Milano oltre a non parlare con i giornalisti non faccia parola dell’inchiesta per telefono nemmeno con i suoi colleghi. Cioè c’è il massimo riserbo, quello che manca nella maggior parte delle inchieste dove sono coinvolti i comuni mortali, quelli che non fanno i magistrati e nemmeno i giudici.

Il Csm tace. E lo fa dopo aver in pratica deciso di considerare non processabili neanche a livello disciplinare le cosiddette autopromozioni dei magistrati candidati a posti di vertice di cui ha parlato a lungo l’ex magistrato Luca Palamara, l’unico ad aver pagato con la radiazione per una vicenda che coinvolge buona parte della magistratura associata. Tace Mattarella che non ha il potere di sciogliere il Csm ma dovrebbe cercare di andare al di là dei “moniti” che hanno caratterizzato la sua condotta fin qui. Invece di insistere sul “cercare la verità” su storie del passato dove si sa quanto accaduto a causa di tonnellate di atti processuali che escludono “misteri”.