Il pm di Milano Paolo Storari sarebbe stato convinto da Piercamillo Davigo a consegnargli copia dei verbali non firmati dell’interrogatorio dell’avvocato Piero Amara relativamente all’esistenza della loggia ‘Ungheria’. Ascoltato ieri dal procuratore di Brescia Francesco Prete, Storari avrebbe quindi dato la responsabilità di quanto accaduto direttamente all’ex pm di Mani pulite. Il pm di Milano decise di consegnare i verbali segreti di Amara all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo «che ha detto che si sarebbe assunto la responsabilità di questo fatto», ha sottolineato il suo difensore, l’avvocato Paolo Della Sala, dopo l’interrogatorio del magistrato milanese indagato per rivelazione del segreto d’ufficio in relazione al “passaggio” dei verbali con le rivelazioni sull’esistenza della “Loggia Ungheria” a Davigo.

«La prospettiva – ha spiegato il legale – è quella di rivolgersi alla persona che ha detto che si sarebbe assunta la responsabilità di questo fatto. E quindi da questo punto di vista, anche solo indipendentemente dal giudizio giuridico, c’è un tema di giudizio etico che va inquadrato e compreso. Questo è un punto molto rilevante, così la smettiamo di avere giudizi espressi a capocchia». Ma il pm milanese avrebbe anche consegnato una serie di mail scambiate con il procuratore Francesco Greco e con l’aggiunto Laura Pedio sulla necessità di effettuare iscrizioni, invitandoli anche a tenere presente la possibilità che Amara stesse calunniando diverse persone. E questo anche perché Amara era stato molto ‘valorizzato’ per le sue dichiarazioni nell’ambito del caso Eni-Nigeria. Le parole di Storari mettono ora in grande difficoltà sia Davigo, che ha avuto atti coperti dal segreto che non poteva avere, e sia Greco e Pedio che avrebbero impedito al pm di fare le iscrizioni.

E sempre ieri si è appreso che Marco Mescolini non ha intenzione di mollare la Procura di Reggio Emilia. L’ex numero della Procura della città emiliana ha presentato ricorso al Tar del Lazio contro la decisione del Consiglio superiore della magistratura di trasferirlo a Firenze come semplice sostituto. Il Plenum aveva ritenuto, lo scorso marzo, che ci fosse nei suoi confronti una “incompatibilità ambientale” in tutto il distretto della Corte d’Appello di Bologna. Mescolini era balzato agli onori delle cronache la passata estate dopo la pubblicazione della sua chat con l’ex zar delle nomine al Csm Luca Palamara. Dalla lettura della chat era emerso il suo pressing per essere nominato procuratore di Reggio Emilia. Una nomina molto combattuta che era stata incerta fino all’ultimo e che rientrava, come si appurò, in uno scambio fra le correnti riguardante i capi delle Procure dell’intera Regione. Come ricostruito da Palamara in varie interviste, la Procura di Reggio era vacante da luglio del 2017. Per il posto di procuratore avevano fatto domanda diversi magistrati. Alla fine erano rimasti Mescolini e Alfonso D’Avino, allora procuratore aggiunto a Napoli. La Commissione per gli incarichi direttivi aveva votato a maggioranza per Mescolini il successivo mese di ottobre.

Il voto in Plenum era fissato per la seduta del 14 febbraio del 2018. I togati di Magistratura indipendente, la corrente di D’Avino, puntarono sulla sua maggiore anzianità e sul fatto che aveva già le funzioni semidirettive e una esperienza decennale nel contrasto ai reati contro la Pa e contro la criminalità organizzata. La pratica venne così rinviata alla seduta del 21 febbraio per poi essere definitivamente rinviata a data da destinarsi. Il motivo di tale rinvio, disse Palamara, era dovuto al fatto che il Csm doveva trovare un posto a D’Avino per permettere a Mescolini di diventare procuratore di Reggio Emilia senza problemi. Le correnti si misero d’accordo e aspettarono che si liberasse la Procura di Parma per poter accontentare Mescolini. D’Avino ritirò la domanda per Reggio Emilia e andò quindi a Parma. Mescolini ha sottolineato gli “effetti indiretti che le chat possono aver avuto su talune indagini” e che il suo operato è sempre stato “legittimo”.

Respinta al mittente l’accusa di essere un magistrato che aveva a cuore le sorti degli esponenti locali del Pd. Sul punto Giovanni Paolo Bernini, ex assessore di Forza Italia del Comune di Parma, indagato proprio da Mescolini nell’ambito della maxi inchiesta sulla mafia al Nord denominata “Aemilia”, aveva in più occasioni sottolineato che quelle indagini erano state a “senso unico” dato che i vertici locali del Pd non erano mai stati sfiorati. Per Mescolini Bernini era un soggetto “inattendibile”. La conclusione è dello stesso Csm: “Mescolini non si è reso conto di quanto stava accadendo”. Il clamore mediatico ha fatto il resto.