La vendetta, tremenda vendetta, del giovane Nino Di Matteo contro l’anziano maestro Piercamillo Davigo pare inarrestabile. Siamo ancora sul palcoscenico del verbale di Amara, che è poi la seconda puntata del libro di Palamara, e mancava solo Di Matteo a dare la pugnalata, non sappiamo se finale (perché ormai c’è la coda), a colui che nessuno chiama più “dottor Sottile”. Il magistrato più scortato d’Italia (e da ben 28 anni) è lapidario. Non ha bisogno di appellare l’ex maestro come Piercavillo o, come ha fatto l’ex collega Alfredo Robledo, Pieranguillo, gli basta una frase generale ma apodittica. «Noi magistrati per primi dobbiamo rispettare le regole». Proprio quando Davigo aveva buttato lì che a volte si può anche essere un po’ elastici.

Nei mesi passati, con il suo voto al Csm che aveva messo il bollo definitivo al pensionamento di Davigo, Di Matteo aveva cercato di pareggiare il conto, dopo che l’ex maestro aveva esibito un assordante silenzio rispetto alle sue sofferenze. Perché non era diventato ministro come ipotizzato da Di Maio, né presidente del Dap su proposta di Bonafede quando poi fu scelto quel Basentini che loro consideravano un signor nessuno. E Davigo sempre zitto.
Oggi uno rimprovera all’altro ogni suo comportamento, nell’affare Amara. Prima di tutto perché Davigo ha accettato dalle mani del sostituto procuratore di Milano Paolo Storari un verbale secretato. Ce ne è anche per il giovane pm milanese, e figuriamoci se Di Matteo si lasciava sfuggire l’occasione di tirare in ballo Berlusconi. Così, per tirare le orecchie al collega milanese, ricorda di quando lui e Tescaroli avevano messo nero su bianco il loro dissenso dal procuratore capo di Caltanissetta Tinebra che non voleva iscrivere sul registro degli indagati il leader di Forza Italia e Marcello Dell’Utri come mandanti di stragi. Secondo lui il pm Storari avrebbe dovuto fare lo stesso casino contro il suo capo Francesco Greco, se questi rifiutava di dare credito all’avvocato Piero Amara.

Il che apre un bel problema, perché in quel verbale veniva accusato di far parte della loggia massonica Ungheria, tra gli altri, il consigliere del Csm Sebastiano Ardita, amico di Di Matteo ed ex amico (e ora non più) di Davigo e punto di riferimento, a quanto si dice, del Movimento cinque stelle. Poi c’è da mettere in discussione l’uso che l’ex “dottor Sottile” ha fatto di quel verbale, non formalizzandolo, non protocollandolo da nessuna parte, ma trattenendolo presso di sé e parlandone con diverse persone. Non solo con il vertice del Consiglio, con il vicepresidente David Ermini e con il procuratore generale Giovanni Salvi, ma anche con altri consiglieri. Sempre a titolo personale.

Insomma, lamenta, sconcertato, Nino Di Matteo, quel verbale ha circolato dentro e fuori il Csm senza che mai fosse compiuto un atto formale. Fino ad arrivare all’episodio più grottesco, quello dell’incontro al Csm tra Davigo e il presidente dell’Antimafia Nicola Morra, descritto da quest’ultimo come una storia tra macchiette. Con il primo tempo nell’ufficio e il secondo lungo le scale (che Morra chiama “sottoscala” ), dove i due si sarebbero accucciati, immaginiamo, sui gradini, mentre l’uno con il ditino sulle labbra a indicare riservatezza gli avrebbe mostrato il verbale con il nome di Ardita, cioè del “nemico” con cui Morra voleva facesse pace, bacini e bacetti. Alla riservatezza di Davigo si è poi contrapposto l’esibizionismo del presidente dell’Antimafia che, non appena scoppiato il bubbone Amara è corso in Procura e anche da Giletti a dire “anch’io, anch’io” ho visto il verbale.

Ma il vero colpo finale l’ha dato poi proprio Nino Di Matteo, e qui entriamo all’ultima scena, quella in cui arriva il Corvo, o postino-postina a fare il “dossieraggio”, come lo definisce l’ex pm del teatrino Stato-mafia. Noi persone semplici preferiamo parlare di volantinaggio, delle solite carte che in genere escono dalle procure senza bisogno di fare tanti giravolte e planano diritte nelle redazioni di alcuni giornali. Di Matteo, che ha ricevuto il verbale quasi in contemporanea a due quotidiani (nomi a caso? Repubblica e Il Fatto) ed è stato l’unico a comportarsi con dignità, rivolgendosi alla procura di Perugia e in seguito al plenum del Csm, ha una visione un po’ più dietrologica. Di quelle, non si offenda, ma un po’ stalinistiche che cercano sempre gli inquietanti retroscena alle spalle di ogni vicenda con il solito domandarsi “a chi giova?”.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.