Il cosiddetto Sistema Siracusa
«Una delle più gravi, estese e spudorate corruzioni sistemiche mai realizzate», dichiarazione in udienza del sostituto procuratore generale di Messina Felice Lima. L’avvocato siciliano Piero Amara viene arrestato a febbraio del 2018 con l’accusa di aver creato una struttura, composta da professionisti e magistrati, finalizzata ad aggiustare i processi e a pilotare le sentenze al Consiglio di Stato. Gli danno manforte il collega Giuseppe Calafiore e il pm della Procura di Siracusa Giancarlo Longo. Amara professionalmente aveva consolidato un ottimo rapporto con Eni, divenendone uno dei principali legali esterni. Ad arrestarlo, in una operazione congiunta, sono le Procure di Roma e Messina. Associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale e alla corruzione in atti giudiziari, alcuni dei reati contestati. Insieme ad Amara, Calafiore e Longo viene arrestato il giudice Riccardo Virgilio, presidente di sezione a Palazzo Spada.

La collaborazione
Amara rimane molto poco agli arresti, iniziando subito una collaborazione con gli inquirenti che lo porterà a patteggiare una pena sotto i quattro anni, evitando così il carcere. Chi non è convinto della bontà del “pentimento” di Amara è il pm romano Stefano Rocco Fava che, agli inizi del 2019, in un procedimento si imbatte nell’avvocato siciliano. Fava chiede l’arresto per Amara. Dai riscontri in possesso del magistrato, pur in pendenza dei procedimenti penali, Amara avrebbe ricevuto la cifra di 25 milioni di euro da Eni, poi diventati 80. Il motivo di questa corposa dazione, che avrebbe reso ricattabili i vertici Eni, sarebbe legata proprio alla corruzione di Longo per procedimenti a tutela dell’amministratore delegato del colosso petrolifero Claudio Descalzi presso le Procure di Trani e Siracusa. Amara, secondo Fava, non aveva poi detto tutto quello di cui era a conoscenza sulle corruzioni.

Il depistaggio
Amara, tramite false denunce, aveva orchestrato un complotto per depistare i pm di Milano che stavano indagando i vertici dell’Eni per corruzione internazionale. Ad essere coinvolti nella macchinazione, l’amministratore delegato di Saipem Umberto Vergine e il consigliere indipendente del colosso petrolifero Luigi Zingales. Il fascicolo arriva a Milano ed è assegnato al pm Paolo Storari e all’aggiunto Laura Pedio. Storari interroga a maggio del 2019 Salvatore Carollo, un manager di Eni, che racconta di aver saputo da Amara che esisteva un “blocco di potere con i servizi segreti” di cui l’avvocato siciliano faceva parte. Nel frattempo a Roma l’aggiunto Paolo Ielo respinge la richiesta di Fava di arrestare Amara. Il procuratore Giuseppe Pignatone toglierà al magistrato il fascicolo. Fava, allora, presenterà un esposto al Csm segnalando mancate astensioni in alcuni procedimenti da parte di Ielo e Pignatone.

Il Palamaragate e il ritorno a Milano
A cominciare dall’estate del 2019, dopo lo scoppio del Palamaragate, Amara avvia una collaborazione con la Procura di Perugia, divenendo uno dei principali accusatori dell’ex zar delle nomine al Csm, indagato per corruzione. Amara, a fine 2019, torna nuovamente alla Procura di Milano e rende ben quattro interrogatori in meno di un mese davanti all’aggiunto Pedio e al sostituto Storari nell’ambito delle indagini sui depistaggi nel processo Eni-Nigeria. Pedio è uno degli aggiunti maggiormente legati al procuratore Greco. Nei verbali si fa riferimento ad una loggia segreta denominata “Ungheria”.

Il viaggio a Roma e le indagini
Storari, percependo una inerzia (smentita invece dai diretti interessati) da parte dei suoi capi in questa vicenda, non propensi ad indagare i soggetti chiamati in causa da Amara, a marzo del 2020 consegna i verbali con le testimonianze di Amara a Piercamillo Davigo al Csm. Storari lascia i verbali in formato word, non firmati. Davigo, che trattiene i verbali, avrebbe (il condizionale è d’obbligo, ndr) informato allora i vertici del Csm, il capo dello Stato Sergio Mattarella e il vice presidente David Ermini. A marzo del 2020 il Csm nomina Michele Prestipino nuovo procuratore di Roma. E proprio in quel mese Davigo cessarà di aver rapporti con il togato Sebastiano Ardita, suo fedelissimo. La chiusura delle indagini a Perugia a carico di Palamara avviene ad aprile, con il deposito delle terribili chat. Il 17 giugno dello stesso anno Raffaele Cantone diventa procuratore di Perugia nonostante il voto contrario di Davigo e di Nino Di Matteo. Il processo a Palamara inizierà a luglio e, dopo la sospensione feriale, si concluderà il 9 ottobre con la radiazione del magistrato. Il 19 ottobre è l’ultimo giorno di servizio di Davigo. Contro la sua permanenza voterà Di Matteo.

L’invio dei verbali ai giornali
A fine ottobre la funzionaria del Csm Marcella Contrafatto, legata al magistrato romano Fabio Gallo – uno degli esponenti di punta della corrente di Davigo Autonomia&indipendenza a piazzale Clodio – e segretaria dell’ex pm di Mani Pulite, dopo aver lavorato con il togato Aldo Morgigni (A&i), invia questi verbali in busta anonima al Fatto Quotidiano e a Repubblica. I giornalisti che ricevono le carte decidono di non pubblicarle per rispetto della “giustizia” e fanno denuncia in Procura. Andrea Massari del Fatto, in particolare, si reca a Milano, la Procura che, secondo Storari, sarebbe rimasta inerte su queste carte. I verbali arrivano anche a Di Matteo che le manda a Perugia e ne dà notizia questa settimana in Plenum. Nelle carte compare il nome di Ardita. «Una palese calunnia da parte di Amara», ha puntualizzato il pm antimafia. Il pg della Cassazione Giovanni Salvi ha negato di aver mai saputo nulla del contenuto di questi verbali: «Né io né il mio ufficio abbiamo mai avuto conoscenza della disponibilità da parte del Consigliere Davigo o di altri di copie di verbali di interrogatorio resi da Piero Amara alla Procura di Milano – ha dichiarato ieri una nota – Di ciò ho appreso solo a seguito delle indagini delle Procure interessate e della conseguente perquisizione nell’ufficio di una funzionaria amministrativa. Si tratta di per sé di una grave violazione dei doveri del magistrato, ancor più grave se la diffusione anonima dei verbali fosse da ascriversi alla medesima provenienza. Non appena pervenuti gli atti necessari da parte delle Procure competenti, la Procura generale valuterà le iniziative disciplinari conseguenti alla violazione del segreto, per la parte di sua spettanza». Ermini si è dichiarato “estraneo” a quanto sta accadendo, ricordando di aver subito sospeso dal servizio la dottoressa Contrafatto. Storari, infine, ha dichiarato di essere pronto ad essere sentito dal Csm.

Cosa c’è nei verbali?
Una loggia super segreta composta da magistrati, alti ufficiali dell’Arma dei carabinieri e della guardia di finanza, professionisti ed imprenditori per condizionare nomine in magistratura e negli incarichi pubblici
Perché Ungheria? Escludendo il richiamo al Paese dell’est Europa, il riferimento potrebbe essere alla piazza dei Parioli. Un piazza importante: è alle spalle del Comando generale dell’Arma e vi ha l’abitazione un importantissimo magistrato, ora in pensione.

La pubblicazione
La pubblicazione del contenuto è iniziata la settimana scorsa da parte del Domani. Il primo ad essere tirato in ballo è stato il presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi che avrebbe indotto Amara a non licenziare l’esperta di relazioni istituzionali e sua amica Giada Giraldi, assunta in una delle società dell’avvocato siciliano, con un contratto di circa 4-5mila euro al mese, a seguito di una raccomandazione del faccendiere laziale Fabrizio Centofanti. Amara avrebbe detto di aver assunto nel 2017 Giada Giraldi per fare un piacere all’allora influente presidente della Quarta sezione del Consiglio di Stato. Patroni Griffi, però, sarebbe stato il presidente del collegio che doveva decidere in un contenzioso tra due società e il titolare di una di queste era assistito dallo stesso Amara.

Poi è stato il turno dell’ex premier Giuseppe Conte, segnalato da Amara per una consulenza per la società Acqua marcia, controllata da Francesco Bellavista Caltagirone, da 400 mila euro. A fare il nome di Conte sarebbe stato Michele Vietti, ex presidente del Csm. Dopo aver lavorato come consulente in Acqua Marcia, finita in concordato, Conte aveva svolto una attività per un imprenditore pugliese, Leonardo Marseglia, nella compravendita del Molino Stucky, stupenda struttura extralusso che sorge sull’isola della Giudecca, e nel portafoglio della società di Caltagirone. Sulla carta un potenziale conflitto d’interessi, dal momento che Conte aveva lavorato prima come consulente di Acqua Marcia (di cui conosceva i documenti del concordato) poi con Marseglia, che di quel concordato aveva beneficiato.

Le reazioni
«Non ho mai ricevuto verbali da alcuno, forse perché non avevo pubblici ministeri amici: su questa vicenda si è inteso fare del Csm una sorta di organo di giustizia domestica», è la sintesi dell’ex laico del Csm Antonio Leone. «Insomma – aggiunge Leone – secondo le prime ricostruzioni, un pm di Milano che non riesce a farsi autorizzare ad iscrivere una notizia di reato si rivolge per tutelarsi dai suoi capi ad un consigliere del Csm e gli consegna le carte. Il consigliere non informa tutto il Consiglio ma in maniera molto informale i vertici. Non si capisce chi abbiano allora informato i vertici, forse il Padreterno. A parte la battuta una cosa è certa: fra autotutele e non opponibilità del segreto d’ufficio ai consiglieri (mi sembra per violazione del segreto alcuni consiglieri del Csm siano stati indagati) c’è sempre più confusione», ha concluso Leone. Sulla vicenda è intervenuto anche Luca Palamara. Interpellato dall’Adnkronos, l’ex zar delle nomine ha dichiarato: «Sono sicuro che con l’impegno delle istituzioni tutta la verità verrà fuori. Questo Paese merita trasparenza e il coraggio delle opinioni libere. Una volta che la verità non verrà più mistificata».