L’indagine della Procura di Perugia, che ha cambiato gli assetti di potere al Consiglio superiore della magistratura e stroncato la nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma, continua a rivelarsi una fucina di “anomalie”. Le ultime in ordine di tempo sono state evidenziate questa settimana con la deposizione dei finanzieri del Gico di Roma, il reparto a cui i pm del capoluogo umbro avevano delegato le indagini nei confronti dell’ex zar delle nomine al Csm Luca Palamara.

La deposizione è avvenuta nel processo disciplinare a carico degli ex togati che avevano partecipato al dopo cena a maggio del 2019 all’hotel Champagne con i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri. È stato il pm antimafia Nino Di Matteo, componente della Sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli, a mettere in luce alcune di queste “particolarità” investigative. Va dato atto al magistrato siciliano, spesso oggetto di critiche per alcune sue prese di posizione, di ricoprire il ruolo di giudice disciplinare con grande attenzione e professionalità. Dopo un paio d’ore che il maggiore Fabio Di Bella del Gico cercava di ricostruire stancamente la genesi dell’indagine rispondendo alle domande della Procura generale della Cassazione e dei difensori degli ex togati, Di Matteo decide di chiedere la parola al presidente del collegio e formulare un paio di domande al teste.

Ma facciamo prima un passo indietro. Nell’indagine di Perugia, Palamara è accusato di essere stato corrotto dall’imprenditore laziale Fabrizio Centofanti. In cambio di viaggi, cene, e altre utilità, il magistrato sarebbe stato a disposizione dell’imprenditore per favorire nomine di procuratori amici di quest’ultimo. Centofanti, si ricorderà, aveva rapporti di frequentazione con tantissimi magistrati, ad iniziare dall’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.
I pm di Perugia per acquisire ulteriori prove, decidono agli inizi del 2019 di intercettare Palamara. Ma non Centofanti. Al telefono di Palamara, poi, verrà inoculato anche il virus trojan. Circostanza curiosa, dal momento che il reato di corruzione, è un reato a concorso necessario, in cui la presenza di almeno due soggetti, il corrotto e il corruttore, rappresenta l’imprescindibile elemento costitutivo dell’ipotesi delittuosa.

A Perugia, invece, si concentrano solo sul corrotto. Alla precisa domanda sul perché di tale scelta investigativa, Di Bella non risponde e “scarica” la responsabilità sui pm di Perugia. Sibillina, poi, un’altra domanda di Di Matteo, proprio sulla genesi dell’indagine. Nella ricostruzione di Di Bella, il Gico era stato in precedenza delegato dalla Procura di Roma a svolgere accertamenti in un fascicolo sempre a carico di Centofanti e degli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara, quest’ultimo l’ideatore del “Sistema Siracusa”, il sodalizio di magistrati e professionisti finalizzato a pilotare le sentenze al Consiglio di Stato e ad aggiustare i processi nei vari tribunali italiani. Le accuse a loro carico erano quelle di corruzione in atti giudiziari e false fatturazioni.

Uno stralcio di questo fascicolo, quando emergeranno i rapporti fra Centofanti e Palalamara, sarà trasmesso a maggio del 2018 da Roma a Perugia, Procura competente per i reati dei magistrati romani. La Procura umbra, come quella di Roma, si avvarrà del Gico della Capitale per le indagini. Di Matteo, anche in questo caso a bruciapelo, chiede se le risultanze delle indagini di Perugia, trattandosi di soggetti che erano stati già indagati a Roma, venivano per caso riferite anche ai pm di piazzale Clodio, e quindi agli ex colleghi di Palamara. Assolutamente no, era stata la risposta Di Bella. L’ultima stranezza riguarda il trojan. Ad Amara e Calafiore, per inocularlo, i finanzieri inviarono un Sms con un link di attivazione del virus. I due non lessero il messaggio e il virus non si attivò.

A Palamara, con la complicità del gestore telefonico, i finanzieri bloccarono direttamente il cellulare. Perché questa disparità di trattamento? Altra domanda destinata a non avere una risposta. In estrema sintesi, dunque, a Perugia, in una indagine per corruzione, il corruttore non viene intercettato. In compenso si intercetta a tappeto il corrotto, per fatti risalenti ad almeno tre anni prima. Per un banale coincidenza, però, intercettando il corrotto, i pm di Perugia hanno ricevuto per mesi notizie su quanto accadeva al Csm. Vedasi la nomina di Marcello Viola.