Il Tar del Lazio ieri mattina ha fatto saltare la nomina più importante che il Consiglio superiore della magistratura aveva in calendario nell’attuale consiliatura: quella del numero uno della Procura di Roma, la più importante del Paese. Uno smacco incredibile dal momento che per Michele Prestipino Giarritta aveva votato convintamente l’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, il magistrato “paladino della legalità”, come disse l’ex zar delle nomine Luca Palamara. Contro la nomina “viziata da illogicità” di Prestipino Giarritta avevano presentato lo scorso anno ricorso i tre candidati “sconfitti”: il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo.

La prima sezione del Tar del Lazio, presidente Antonino Savo Amodio, estensore Ivo Correale, ha accolto i ricorsi dei primi due, respingendo quello di Creazzo. I giudici amministrativi sono stati durissimi con il Csm, bacchettandolo in particolare per essersi scordato di indicare i motivi secondo i quali aveva deciso di escludere la candidatura di Viola e di non valutare adeguatamente i titoli di Lo Voi: “L’omissione della valutazione di Viola, data dalla revoca della proposta a lui favorevole del 23 maggio 2019, appare priva della necessaria motivazione, in assenza di elementi oggettivamente riscontrabili a suo carico (rinvio a giudizio, apertura di procedimento disciplinare e simili)”. Il Csm, in estrema sintesi, aveva “irragionevolmente” cambiato atteggiamento sulla nomina di Viola dopo la diffusione illegale del contenuto delle intercettazioni ambientali a caco di Palamara. “Emerge da più di un intervento in Plenum – osserva il Tar – che Viola, in audizione, si era dichiarato ‘parte offesa’ e che, oggettivamente dalla lettura delle intercettazioni emergeva tale qualità di parte offesa rispetto alle ‘macchinazioni o aspirazioni di altri’”.

In sostanza l’essere stato ‘scelto’ a sua insaputa, “non poteva condizionare in alcun modo l’orientamento del Csm”. “Suggestivo” era stato poi il tentativo di Palazzo dei Marescialli di giustificare il mutamento di indirizzo a causa delle diverse persone fisiche presenti in Commissione e dall’audizione di Viola. Questi i “fatti” in diritto. Per capire come sia stato possibile che il Csm abbiamo avallato una nomina “illogica” è necessario tornare indietro di circa due anni. Tutto ha inizio il 23 maggio del 2019 quando Viola era risultato il candidato più votato dalla Quinta commissione del Consiglio Superiore della Magistratura, competente per gli incarichi direttivi, con 4 voti, fra cui quello di Davigo, rispetto al voto singolo andato agli altri due candidati, Lo Voi e Creazzo.

La decisione mette subito in agitazione la sinistra giudiziaria a piazzale Clodio e i suoi giornali di riferimento.

Come dirà Palamara, Viola non poteva venire a Roma “in quanto uomo di destra e vicino a Cosimo Ferri”, leader indiscusso della destra togata e all’epoca parlamentare renziano. Eugenio Albamonte e Mario Palazzi, due pm di punta a Roma di Magistratura democratica, esprimono a Palamara tutto il loro disappunto. L’arrivo di Viola farebbe anche saltare il “metodo Giuseppe Pignatone”, condiviso dal fedelissimo Prestipino e dagli aggiunti Rodolfo Sabelli, titolare del dipartimento reati economici, Maria Monteleone, di quello dei reati contro donne e minori, di Giuseppe Cascini (eletto al Csm). Fra i più legati a Pignatone, andato in pensione il 9 maggio di quell’anno, c’è l’aggiunto Paolo Ielo, il capo del Dipartimento reati contro la Pa, candidato in pectore alla nomina di Procuratore di Milano. Viola metterebbe, infine, scompiglio anche negli apparati investigativi della Capitale, in quel momento monopolizzati dalle attività del Gico della guardia di finanza.

Quella che sulla carta sembra cosa fatta, salta il 29 maggio successivo con tre pezzi fotocopia del Corriere, Repubblica e Messaggero, dalla medesima “matrice” informativa dirà Palamara. I tre quotidiani riportano le intercettazioni di Palamara, all’epoca indagato dalla Procura di Perugia per corruzione, relative a dei suoi colloqui effettuati la sera dell’8 maggio con cinque togati del Csm e i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti all’hotel Champagne di Roma. Le trascrizioni, peraltro errate come poi si vedrà, mettono in cattiva luce Viola. Il pg di Firenze, secondo la narrazione, avrebbe dovuto aggiustare diversi fascicoli, ad iniziare da quello Consip a carico di Lotti. Le indagini dimostreranno come Viola fosse all’oscuro di tutte le trame e che sul suo conto neppure altri avessero fatto alcuna illazione.

La clamorosa fuga di notizie, su cui nessuno ha mai indagato, ha due conseguenze: il cambio di maggioranza al Csm con le dimissioni dei togati che avevano partecipato alla cena e la revoca in autotutela della votazione del 23 maggio. Relatore è il togato Marco Mancinetti, acerrimo nemico di Palamara che puntava a diventare aggiunto a Roma.

Pur essendo le indagini di Perugia in corso, i tre quotidiani per settimane riportano ampi stralci dei colloqui di Palamara. La campagna stampa portata avanti dai tre quotidiani, come detto, costringe alle dimissioni i cinque consiglieri che avevano partecipato a quell’incontro e, per il meccanismo elettorale del Csm, ai dimissionari subentrano i primi dei non eletti. La maggioranza al Csm cambia radicalmente al punto che molti commentatori parleranno apertamente di “ribaltone”.

Il presidente dell’Anm Pasquale Grasso, in carica da qualche mese, è sfiduciato. Esponente di Magistratura indipendente, secondo alcuni non avrebbe preso le distanze dall’incontro fra i togati e i due politici. Tre dei cinque consiglieri presenti all’incontro all’hotel Champagne sono di Magistratura indipendente. La stessa corrente di Viola. Il capo dello Stato, fra le polemiche, decide di non sciogliere il Csm di andare avanti. In un drammatico Plenum qualche settimana più tardi, alcuni consiglieri paragoneranno quanto accaduto ai fatti della P2. Il Csm sperimenta allora una nuova alleanza fra la sinistra giudiziaria e davighiani. Il primo banco di prova è valorizzare l’esperienza di Prestipino in materia di criminalità organizzata ed il suo “radicamento” sul territorio per farlo diventare procuratore di Roma. L’operazione riesce. E Prestipino, senza essere mai stato procuratore e con titoli nettamente inferiori, batte la concorrenza di Creazzo e Lo Voi.

Adesso l’ultima speranza è riposta nel Consiglio di Stato. A meno che il Csm non voglia recuperare un minimo di credibilità e nominare uno fra Viola e Lo Voi senza presentare ricorso a Palazzo Spada. Difficile trovare altre assist per rinforzare il curriculum di Prestipino. Nel prossimo voto la corrente progressista Area potrebbe mollare Prestipino e puntare sulla prima scelta, Lo Voi. Una scelta comunque gradita a piazzale Clodio visti gli ottimi rapporti fra Lo Voi e Pignatone. Su Viola, invece, probabile il voti di Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita.