Hanno aperto l’anno giudiziario in un clima surreale. Quasi non fosse successo niente nella magistratura in questi 12 mesi. Una cerimonia davanti al presidente della Repubblica, piena di toghe, ermellini, velluti, ori e princisbecchi. E poi montagne, montagne infinite di ipocrisia. Ehi, signori!!! C’è stato il caso Palamara, ve ne siete accorti? Vi riguarda: è uscito un libro che trascina nel fango decine e decine di alti magistrati, son state pubblicati pacchi di whatsapp e messaggi che spiegano come l’intera classe dirigente della magistratura italiana è nominata da un sistema occulto e illegale dominato da correnti e camarille, abbiamo capito che anche le inchieste vengono aperte o chiuse per ragioni di potere, che le sentenze sono orientate, che un gigantesco potere segreto e incostituzionale dilaga e sottomette i poteri democratici.

Chiaro? Non bisogna essere giuristi per capire queste cose. Chi ha letto il libro di Palamara lo sa. E tutto quello che sostiene Palamara è sostenuto da riscontri solidi. E allora? E allora eccoli lì i massimi vertici della magistratura italiana, che parlano retorici e altisonanti all’inaugurazione dell’anno giudiziario, citano appena il caso Palamara con parole da far ridere qualunque spettatore di commedie («colpiremo, indagheremo, chiariremo, non lasceremo nessuna ombra…») e non si accorgono che l’istituzione magistratura, ormai, è del tutto delegittimata per colpa dei comportamenti dei suoi vertici. Ieri abbiamo pubblicato la notizia che un gruppetto di magistrati, una trentina, ha chiesto le dimissioni dei leader più importanti delle correnti e della magistratura. Di Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione, di Giuseppe Cascini, icona della sinistra penale. Hanno gridato che loro non ci stanno a lasciare che, in silenzio, tutta la categoria, piena di gente seria e onesta, sia trascinata nelle pozzanghere della sovversivismo dall’alto.

Beh, nessuno, proprio nessuno che abbia sentito la necessità di rispondere a questi magistrati. Mi è venuta in mente questa immagine. Un comitato centrale del Psi, o della Dc, con Craxi e De Mita, tra il ’92 e il ’93, che si riuniva e non parlava di Tangentopoli. Discuteva del prezzo del sale, del regolamento delle comunità montane, e poi, magari, qua e là buttava giù qualche parola bella: pulizia, onestà… Cosa avrebbero fatto il giorno dopo i giornali? Avrebbero trasformato in braciole – come comunque hanno fatto – partiti e leader. Arrosto.

E invece noi assistiamo a questo spettacolo indegno della magistratura, messa a nudo dallo scandalo più clamoroso della storia della Repubblica, nel silenzio generale. E nella viltà. La stragrande maggioranza dei mass media ha deciso di ignorare tutto. Volete sapere il perché? Perché la grande maggioranza dei mass media, ormai da molti anni, ha accettato di lavorare in una condizione di subalternità nei confronti della magistratura. Ha firmato un patto di sottomissione. È stata propria questa circostanza la causa principale della morte cerebrale del giornalismo italiano. C’è ancora il giornalismo in Italia? No: c’è Travaglio.

Ora il problema è molto semplice. La magistratura non ha nessuna possibilità di autoriformarsi. I vertici della magistratura sono in gran parte corrotti, come ci spiega Palamara. L’urgenza di radere al suolo il “sistema” e di ripristinare il diritto e la legalità è chiara a tutti. Chi è che può intervenire? Una parola ce la saremmo aspettata da Mattarella. ma mi pare che ieri abbia assistito impietrito e silenzioso allo scempio. Resta la politica, il Parlamento. È in grado di reagire? Di istituire una commissione di inchiesta? Di chiamare a testimoniare tutti i testimoni evocati da Palamara e che il Csm ha ignorato? È in grado di fare una riforma della magistratura che azzeri i vertici attuali? Se non è in grado di fare queste cose, se resta accucciato, diventa inutile persino chiamarlo Parlamento.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.