Insomma, Luca Palamara, ex presidente dell’Anm e zar delle nomine al Csm, venne sottoposto ad intercettazione telefonica a mezzo di “captatore informatico” per un reato che non è mai esistito.

Nella richiesta di rinvio a giudizio, firmata l’altro giorno dai pm di Perugia Mario Formisano e Gemma Miliani, con il visto del neo procuratore Raffaele Cantone, non c’è alcun riferimento ai 40mila euro che sarebbero stati dati da due professionisti, gli avvocati siciliani Giuseppe Calafiore e Piero Amara, a Palamara quando egli era presidente della Commissione per gli incarichi direttivi di Palazzo dei Marescialli, in cambio della nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela.

Eppure nel decreto firmato dal gip del capoluogo umbro Lidia Brutti, con cui il 22 marzo del 2019 si autorizzava il Gico della guardia di finanza all’utilizzo del trojan, la dazione della super mazzetta a Palamara aveva già trovato “un primo riscontro obiettivo” e per questo motivo era indispensabile procedere con tale mezzo di ricerca della prova. Gli effetti dell’utilizzo del trojan per un reato che non è esistito sono noti.

Fra le tante conversazioni registrate, quella avvenuta all’hotel Champagne di Roma nel maggio dello scorso anno con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti, la cui pubblicazione comportò le dimissioni dei cinque consiglieri del Csm che avevano preso parte all’incontro. Dimissioni che modificarono poi gli equilibri fra le correnti a piazza Indipendenza. Questo “piccolo” particolare è stato omesso ieri dal Corriere della Sera, da Repubblica e dal Messaggero, i tre quotidiani che all’epoca con grande enfasi diedero la notizia dell’incontro nell’albergo romano.

Tornando alla tesi investigativa della Procura di Perugia, a Palamara viene contestato l’articolo 318 codice penale nella formulazione introdotta dalla legge Severino del 2012, “corruzione per esercizio della funzione”. Il reato svincola la punibilità dalla individuazione di uno specifico atto, ricollegandola al generico “mercimonio della funzione”. Palamara quando era al Csm sarebbe stato dunque “stipendiato” da Centofanti in cambio di favori. «Centofanti – avevano scritto i magistrati umbri – da tempo operava come ‘lobbista’, aveva svolto attività di lobbying per conto di importanti gruppi imprenditoriali, nelle sedi politico/istituzionali. In tale ambito operativo aveva mirato ad accrescere la propria capacità di influenza intessendo una rete di relazioni con rappresentanti di varie istituzioni e con soggetti a loro volta portatori di interessi di importanti gruppi di pressione, alcuni dei quali avevano svolto tale ruolo in modo disinvolto e talora illecito». L’attenzione dei pm di Perugia si era incentrata sul loro rapporto, una relazione che sarebbe stata “inquinata da interessi non confessabili”.

Quello che è emerso con tutta evidenza, invece, è l’assedio che Palamara subiva quotidianamente da parte dei suoi colleghi che aspiravano a essere nominati procuratori o presidenti di Tribunale.
Il Riformista ha raccontato nelle scorse settimane due casi, uno accaduto nel distretto di Messina e uno in quello di Bologna, che illustrano il funzionamento del sistema delle nomine by Palamara. Il modus è identico: i referenti locali di Unicost, la corrente di Palamara, “segnalavano” via chat allo zar degli incarichi i nominativi dei magistrati da promuovere. Le nomine erano indispensabili per rafforzare la corrente sul territorio ed accrescerne il consenso.

Giovannella Scaminaci, pm di Messina, scriveva a Palamara: «È ora di tornare alle nomine messinesi, anche perché dovrei organizzare un incontro con i candidati Csm e vorrei farlo subito dopo qualche risultato significativo per il gruppo». E quindi l’elenco: «Presidente sezione lavoro Tribunale Messina (Beatrice Catarsini), presidente Tribunale Patti (Angelo Cavallo), procuratore aggiunto Messina (Vito Di Giorgio)».

«A Messina abbiamo bisogno di conforto. In mancanza, riprendere a lavorare per il gruppo sarà praticamente impossibile», la puntualizzazione di Scaminaci. Questa la risposta di Palamara: «Purtroppo in previsione di Patti e Messina ho dovuto cedere sulla Romeo (Laura, concorrente di Catarsini, ndr)», per poi aggiungere: «Ci terrei lo comunicassi tu a chi in questi giorni si è molto lamentato».

A Bologna il compito di segnalare era affidato a Roberto Ceroni: «Grandissimo Luca, abbiamo per caso novità sui nostri presidente Piacenza (Brusati), procuratore Parma (Russo) e presidente Sezione Rimini (Corinaldesi)? Il Distretto freme…». E poi: «Sia la Russo che Mescolini (candidato procuratore a Reggio Emilia, ndr) attendono nostre notizie. Ci siamo spesi molto. Mi raccomando». «Si tratta di posti sui quali mi si chiede costantemente aggiornamento e che per noi rivestono importanza assoluta», la postilla di Ceroni.
«Carissimo Roberto tutto sotto controllo», «fatte queste però voglio festa per me!!!», la risposta di Palamara una volta ottenuto il risultato.

I davighiani di Autonomia&indipendenza hanno chiesto la scorsa settimana che vengano avviate azioni disciplinari a carico dei magistrati che hanno beneficiato del sistema Palamara.