L’intervista
Referendum 8-9 giugno, Castellani: “I quesiti? Battaglie di una sinistra minoritaria. Ma fare propaganda è ancora legittimo”

La sinistra torna a recitare il solito copione, urlando al pericolo fascista e alla deriva antidemocratica. Il motivo? Nel centrodestra e tra i riformisti di centrosinistra c’è chi ha osato far sapere di non votare per i referendum dell’8 e 9 giugno. E così è partita la grancassa: c’è poco dibattito, l’informazione è penalizzata e i quesiti rischiano di non raggiungere il 50%. I promotori stanno facendo di tutto per prendersi la scena e sperare nell’effetto eco: l’altro ieri Riccardo Magi, deputato e segretario di +Europa, si è travestito da fantasma durante il premier time alla Camera; poche ore dopo è stato proiettato il simbolo del referendum sulla facciata di Palazzo Chigi. Iniziative legittime per attirare l’attenzione e far parlare della consultazione: d’altronde, la Cgil e la galassia rossa hanno il terrore di non centrare il quorum. Uno scenario sempre più realistico. Ma Lorenzo Castellani, docente di Storia delle istituzioni politiche alla Luiss, invita a non demonizzare l’astensione: si tratta di uno strumento democratico nelle mani degli elettori, che possono ignorare specialmente quelle «battaglie di retroguardia» proposte da una «sinistra minoritaria nel Paese».
Professore, davvero chi non andrà alle urne l’8 e il 9 giugno è un sovversivo?
«È legittima propaganda fatta da chi promuove i referendum, ma il voto è un diritto-dovere e non un obbligo. Chi non vuole cambiare le leggi vigenti può tranquillamente restare a casa. Non c’è nulla di incostituzionale».
E allora perché la sinistra parla di pericolo democratico?
«Perché è il modo della sinistra di difendersi dalle eventuali sconfitte elettorali. C’è sempre un pericolo democratico, astensione o fascismo che sia. Nessuno impedisce agli italiani di andare alle urne per i referendum».
Però non è bello sentire il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, che invita all’astensione…
«Non è bello, ma non c’è nulla di incostituzionale o antidemocratico. Chi non vuole cambiare le leggi sottoposte a referendum ha due opzioni: votare no oppure astenersi per far fallire il quorum. È sempre stato così».
Va comunque detto che nessun diritto è stato conquistato restando a casa…
«Ma qui non ci sono diritti in discussione in termini assoluti, sono decisioni in merito a delle leggi. Chi è d’accordo su quelle leggi può esercitare il suo diritto di astenersi. Sono quelli che promuovono il referendum che devono battersi per raggiungere il quorum e far vincere il sì».
E qui si apre il vero problema: il contenuto dei quesiti. Perché non scaldano il cuore degli italiani?
«Perché sono battaglie di una certa sinistra, oggi minoritaria nel Paese. Basti pensare al Pd: il partito del Jobs Act che oggi vuole abolirlo per via referendaria. Lo stesso per quanto riguarda la cittadinanza: la maggioranza degli italiani non sembra contenta dell’estensione perché si lega all’immigrazione, che è percepita come un problema da larghe fasce di elettorato».
Insomma, ci risiamo: la sinistra non intercetta il popolo…
«La domanda che bisogna farsi sul piano politico è: c’è una maggioranza di italiani a favore del programma proposto da Conte, Schlein e Landini? No, non c’è allo stato attuale e dunque è molto difficile che ci sia il quorum. Senza contare che sono battaglie di retroguardia, a detrimento del mondo produttivo con il quale la sinistra ha smarrito ogni legame».
Forse la disaffezione è stata generata anche dall’eccessivo ricorso al referendum, che paradossalmente può aver allontanato gli elettori…
«Il referendum è uno strumento democratico che non va demonizzato, ma il suo uso non sempre garantisce la mobilitazione degli elettori. Dipende dai temi e dalla forza di chi li propone».
© Riproduzione riservata