Ricco questo autunno espositivo, specialmente per quanto riguarda la fotografia. Oltre agli appuntamenti di Venezia e Rovigo rispettivamente con Paolo Pellegrin e Tina Modotti, di cui abbiamo parlato di recente, a Padova è aperta l’esposizione “American Beauty. Da Robert Capa a Banksy”, celebrazione delle contraddizioni degli Stati Uniti, simbolicamente incarnate dalla rosa più famosa – che dà il titolo alla mostra – la cui straordinaria bellezza nasconde una fragilità strutturale.

È vero, ci sono anche diversi dipinti – Jasper Johns, Andy Warhol, Keith Haring, perché la Pop Art più di ogni altro movimento continua a incarnare l’essenza del paese a stelle e strisce -: ma sono soprattutto i lavori di Robert Capa, Margaret Bourke-White, Berenice Abbott, Steve McCurry, Vanessa Beecroft, Henri Cartier-Bresson, Elliott Erwitt, Dorothea Lange, W. Eugene Smith e Annie Leibovitz che la fanno da padroni, raccontando attraverso generi fotografici diversi come il ritratto, la rappresentazione storica, le immagini costruite e le istantanee, scatti in posa e attimi rubati, realismo e astrazione, i valori e la passione per la bandiera di una terra vicina e distante allo stesso tempo, di cui condividiamo l’immaginario da sempre ma che in fondo ci è distante per storia e modalità. 130 le opere visibili al Centro culturale Altinate fino al 21 gennaio 2024, articolate in cinque sezioni che indagano temi come patriottismo, potere e imperialismo, con focus mirati su argomenti di doloroso dibattito, dal terribile 9/11 all’altrettanto drammatico problema esposto da “Black lives matter”.

Tra le più affascinanti, la sezione dedicata dalla bandiera americana, quellala Stars and Stripes diventata un simbolo più grande dello stesso paese di cui è vessillo, con scatti di Margaret Bourke-White, che ritrae le operaie di una fabbrica intente a cucire le bandiere, e di Dorothea Lange, che in un’immagine del 1942, anno in cui gli Stati Uniti entrarono in guerra, ritrae una dozzina di bambini con la mano destra sul petto e vicini alla bandiera, troppo piccoli per andare in guerra ma forse combattenti in quelle successive, oltre ovviamente alle immagini iconiche della bandiera americana issata sulla luna e a quella, famosissima, dell’innalzamento sull’isola di Iwo Jima catturata da Joe Rosenthal nel 1945.

Intanto a Milano, fino al 21 gennaio 2024 Palazzo Reale è sede dell’esposizione “Jimmy Nelson. Humanity”, un percorso in 65 grandi fotografie (alcune arrivano a misurare 2×3 metri) per esplorare i temi più cari all’artista, che ha legato il suo nome alla narrazione per immagini delle culture indigene a rischio nel mondo, di cui ha raccontato usi e costumi tradizionali, vita e abitudini, con rispetto profondo e grande empatia.

Da Papua al Tibet, dall’Africa alla Siberia, al Bhutan, il fotografo inglese ha attraversato il globo finendo per creare una sorta di mappa delle tribù; grazie al banco ottico in titanio di grande formato, l’artista è riuscito a trovare in modo di trasferire le immagini con una qualità estremamente elevata, rendendo le riproduzioni molto simili a dipinti. «Credo fermamente nel potere trasformativo della bellezza» ha dichiarato Nelson. «Ho testimoniato di persona come riconoscere e celebrare la bellezza possa portare a cambiamenti positivi negli individui e nelle comunità».

Molti i ritratti esposti, in particolare di anziani e donne, e le suggestive immagini di ambienti naturali capaci di esprimere la relazione profonda tra le popolazioni indigene e la natura. E mentre a Lodi fino al 29 ottobre si svolge in varie sedi espositive la quattordicesima edizione del Festival della Fotografia Etica – incontri, presentazioni, visite e proiezioni oltre naturalmente alle 20 mostre che coinvolgono circa 200 fotografi – sempre a Milano è tornata la nuova edizione del Wildlife Photographer of the Year, la mostra di fotografie naturalistiche più prestigiosa al mondo: all’Hangar 21 di via Tortona sono esposte le 100 immagini premiate al concorso indetto dal Natural History Museum di Londra.