Netanyahu respinge
Rischio Siria, così il conflitto può allargarsi. Usa al lavoro per disinnescare un’escalation
Il pericolo è che se Israele dovesse colpire anche obiettivi militari siriani potrebbe determinare un intervento russo
Dal 17 ottobre il contingente statunitense in Siria e Iraq è stato preso di mira 52 volte dalle Forze Quds dei Guardiani della rivoluzione islamica iraniana (IRGC) e dalle milizie sciite a loro affiliate sul terreno. Nella notte di domenica, quattro nuovi lanci di razzi con droni hanno preso di mira basi Usa nella Siria orientale in risposta agli attacchi statunitensi contro le postazioni delle IRGC miranti a dissuadere i proxy di Tehran dal condurre raid contro il personale americano di stanza nella regione.
Ma sembra che questo tentativo delle Forze aeree statunitensi non sia riuscito a raggiungere i suoi obiettivi. I lanci di razzi multipli erano diretti alla base Mission Support Site-Eufrate nell’estrema Siria nordorientale, a quella di Green Village vicino al giacimento petrolifero siriano di al-Omar nella provincia di Deir Ezzor e in quella di Shaddadi. Tutti i droni sono stati abbattuti prima di colpire le basi. Il ritmo degli attacchi è continuato fino a martedì, quando “più droni unidirezionali” hanno preso di mira la base della coalizione anti Isis a guida Usa nella zona di atterraggio di Rumalyn.
Uno di questi droni è stato abbattuto mentre l’altro ha colpito la base, provocando danni alle infrastrutture di quattro tende. Non sono stati segnalati feriti. Domenica notte aerei da guerra Usa hanno colpito una struttura di addestramento dei pasdaran vicino ad Albukamal, nel deserto orientale della Siria al confine con l’Iraq. Secondo i dati resi pubblici dal Pentagono sul numero di soldati americani rimasti oggi nella regione per distruggere le cellule residue dello Stato Islamico e prevenirne nuovi insediamenti, in Siria sono di stanza circa 900 soldati statunitensi e altri 2.500 sono impiegati nelle basi in Iraq.
La ripresa da parte delle milizie filoiraniane di attacchi, seppur su piccola scala, ma comunque potenzialmente letali, contro le basi statunitensi nella regione, ha interrotto una pausa di oltre sei mesi nelle ostilità mentre i gruppi locali sostenuti dai pasdaran iraniani stanno intensificando la loro propaganda tra la popolazione contro la presenza militare statunitense nella regione. Il Pentagono e il presidente Joe Biden hanno apertamente ammonito l’Iran e i suoi proxy a non approfittare della guerra a Gaza per lanciare attacchi contro le forze statunitensi e di non alimentare un clima di escalation regionale. Gli Stati Uniti hanno schierato due portaerei, altri caccia e bombardieri strategici e altre armi letali in Medio Oriente, nel Mediterraneo Orientale e nel Golfo Persico nel tentativo di dissuadere i proxy dell’Iran dal lanciare attacchi contro Israele e gli Stati Uniti al fine di estendere il conflitto e trascinare Washington in una guerra regionale.
Mentre continua a crescere la protesta internazionale contro il massiccio intervento militare israeliano a Gaza, la Casa Bianca non sostiene ancora la richiesta di un cessate il fuoco poiché le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno appena iniziato a spingersi nella città di Gaza per dare la caccia ai miliziani di Hamas. Tutto fa pensare che i combattimenti più duri devono ancora arrivare, mentre l’IDF si prepara a penetrare metro per metro nella fitta rete di tunnel sotterranea dei rifugi Hamas. Ma sembra che ora il pericolo maggiore per Israele provenga dal fronte orientale, cioè dalla Siria, da dove si registra una marcata intensificazione dei combattimenti sia al confine israelo-siriano che attorno alle basi statunitensi.
Gli israeliani – per la quarta volta in un mese – hanno messo fuori servizio gli aeroporti internazionali di Damasco e Aleppo con pesanti raid aerei. Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, gli aeroporti siriani sono stati sotto costante bombardamento, portando quasi alla paralisi dell’intera industria aeronautica del paese a seguito di bombardamenti che hanno distrutto in più occasioni le piste di decollo e di atterraggio. L’aviazione siriana ha fatto ricorso alla base aerea di Khmeimim a Latakia, controllata dai russi, che Israele si astiene dall’attaccare anche perché con Mosca vi è un tacito accordo che consente alle forze aeree israeliane di utilizzare i cieli di quella regione che sono sotto il controllo russo per colpire le postazioni filoiraniane che minacciano la sua sicurezza.
Mentre tutti parlano di un’escalation al confine libanese, in realtà è il confine siriano a preoccupare maggiormente Israele a causa del numero di proxy dell’Iran coinvolti in Siria. L’ultimo scontro diretto tra Siria e Israele risale al 1973 durante la quarta guerra arabo-israeliana. Lì vi sono i russi, i numerosi gruppi sostenuti dall’Iran, le unità delle forze speciali Quds, un vero e proprio esercito armato fino ai denti, e lo stesso esercito siriano. Tutte queste forze potrebbero unirsi per colpire Israele da est. Il pericolo è che se Israele nel neutralizzare le forze filoiraniane dovesse colpire anche obiettivi militari siriani potrebbe determinare un intervento russo, dato che Mosca è il principale alleato dell’esercito siriano.
Gli Usa sono al lavoro per disinnescare l’eventualità di una escalation che è sempre dietro l’angolo in quello scenario regionale. Venerdì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva respinto pubblicamente la proposta statunitense di far intervenire forze internazionali per gestire e garantire la sicurezza a Gaza dopo la guerra. Washington cerca infatti anche di evitare un’occupazione israeliana prolungata perché i funzionari del Pentagono considerano una occupazione di Gaza a lungo termine potenzialmente controproducente per la sicurezza nella regione.
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