Il valore dell’azienda è pari alla metà di quanto è stato pagato un anno fa, l’aumento di investitori medio-piccoli non è bastato a frenare l’assenza dei big player e porterà a fine anno ad un dimezzamento della pubblicità raccolta, gli incassi dal programma che dà la tanto agognata spunta blu sono buoni ma capaci di coprire solo l’1% delle spese dell’azienda, secondo una analisi di Bloomberg. Ed ancora: gli utenti sono complessivamente scesi, si stima un calo del 15% rispetto all’anno precedente, mentre fonti interne all’azienda raccolte dal Washington Post parlano di un 30% di calo degli utenti attivi. In Italia nostre elaborazioni su dati Audicom ci danno un’audience di 16 milioni, in leggera crescita rispetto all’anno scorso, ma non come tempo speso sulla piattaforma.

Insomma, a poco più di un anno dal suo arrivo, Elon Musk è sicuramente felice perché ha finalmente acquisito la posizione di proprietario di X-Twitter, tanto desiderata da fargli superare indenne le montagne russe dell’onerosissimo processo di acquisizione, ma i dati gli dicono che dal punto di vista dell’interesse aziendale non sta andando nella direzione giusta: fosse un CEO e non il proprietario, dicono molti analisti, sarebbe già stato silurato. Ma forse, per capire perché anziché invertire la rotta prosegue pervicacemente quella che ha preso dal giorno dell’acquisizione, bisogna chiedersi dove vuole arrivare. E domandarsi quali siano i reali motivi che lo hanno portato all’acquisizione, senza scendere nelle facili semplificazioni della sua biografia, del suo rinomato carattere, del suo desiderio di scalare il tetto del mondo attraverso un social network che dà un’enorme visibilità e condiziona l’informazione, la politica e il dibattito pubblico a livello globale. Non che questi elementi non incidano, per carità, ma bisogna provare ad andare oltre. Per farlo, oltre alle considerazioni sul business che Franz Russo fa su questa pagina, ci vengono in aiuto ricerche che sono state fatte ad un anno dall’acquisizione su come è radicalmente cambiato X in quest’anno. Scordiamoci il Twitter che è stato il motore primavera araba e di movimenti come Black Lives Matter o #MeToo: oggi X è qualcosa di radicalmente diverso e propende decisamente più a destra. Infinitamente più a destra.

Prendiamo il numero dei follower: negli Stati Uniti il numero dei follower dei principali account conservatori è cresciuto a dismisura. Per fare uno dei tanti esempi, l’account dell’opinionista Ben Shapiro è passato da 4,7 milioni di followers a 6,3 mentre account liberal o centristi come quelli di Michelle Obama o del potente network di “Occupy Democrats” sono stabili o in alcuni casi scesi. In Italia non va diversamente, con gli account – ad esempio – di esponenti conservatori come Vittorio Feltri, Daniele Capezzone o Francesca Totolo cresciuti dal 10 all’80%, mentre quelli di opinionisti di campo opposto sono assolutamente stabili. Certo, le stesse analisi ci dicono che i secondi stanno utilizzando meno la piattaforma rispetto a prima, come se si sentissero meno “a casa”. Ed un po’ hanno ragione, dal momento che Musk tra le prime decisioni prese ha tagliato radicalmente i costi del personale, smantellando buona parte dei team di moderazione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: Twitter è diventato veicolo d’eccezione per la contro-informazione.

Ad esempio è schizzato alle stelle, aiutato anche da un retweet di Musk in persona, un account come quello di @radiogenoa, che posta quotidianamente contenuti spesso islamofobici contro i migranti. Una ricerca dell’Università di Washington ha rilevato che su X-Twitter gli aggregatori di notizie indipendenti (ma anche spesso senza volto e quindi non verificabili) hanno superato di gran lunga i media tradizionali nell’informazione sulla guerra in Medio Oriente. Twitter è diventato anche il luogo dove, secondo un’analisi di News Guard, l’engagement generato dalle fonti di disinformazione russe, cinesi e iraniane è cresciuto del 70%. Quanto al campo politico, è stato lo stesso Musk a “riabilitare” su X-Twitter l’ex Presidente Donald Trump, a lanciare le dirette di Twitter Spaces con il candidato ultraconservatore Ron De Santis o infine a premiare con un programma di incentivi influencer quasi sempre conservatori. Ed è sempre lo stesso Musk a postare con continuità contenuti divisivi, come quello di qualche giorno fa dove lui stesso – pur essendo con le sue aziende fornitore del governo – mostrava le basi militari statunitensi intorno all’Iran, facendolo apparire più come vittima che come carnefice.

Insomma, dove sta andando Twitter dal punto di vista dei contenuti e del posizionamento è facile immaginarlo. Il proprietario è cambiato, l’algoritmo pure (ora assomiglia a quello di TikTok, senza troppe camere dell’eco impermeabili ma con contenuti che tendono a provocarti), la moderazione è minimale, la disinformazione corre libera e l’informazione che viene spinta è quella alternativa e non quella dei media tradizionali. Se poi dietro c’è un disegno solo di business, per tenere incollati gli utenti sfruttando la polarizzazione dei contenuti divisivi, un progetto politico o entrambe le cose, si capirà presto. Che poi questo cozzi apertamente con le norme europee del Digital Service Act che stanno entrando in vigore in questi mesi, è un dato di fatto così forte da spingere il commissario europeo Thierry Breton ad inviare a Musk alcune diffide formali. Come finirà non è dato saperlo, ma è certo che arrivare alle elezioni europee con il mondo dell’informazione e con il dibattito pubblico condizionati da un player di queste dimensioni per nulla neutro, è un bel problema.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva