Senza enfatizzare la sorpresa bisogna riconoscere che la più grande e antica democrazia repubblicana, gli Stati Uniti, sta rapidamente cambiando la pelle delle idee e degli umori politici, sicché nessuno oggi può azzardare previsioni su chi vincerà il torneo della Casa Bianca di qui a un anno, perché se è stato finora vero che Trump cresce, si scopre adesso che la guerra di Gaza e il comportamento di Joe Biden ha fatto moltiplicare poche simpatie e molti odi imprevisti. Cresce infatti esponenzialmente l’opinione favorevole alla causa palestinese (e di fatto pro Hamas) che fa tentennare il Presidente multitasking (Ucraina, aborto, clima, Taiwan, conflitto Israelo-palestinese) che è costretto ad alzare la voce e ridurre il rischio di confronto militate con Iran, Russia e Cina. Ieri Foreign Affairs notava che la politica americana ha imboccato la strada dalle parole pesantissime e degli interventi leggeri. Un po’ come Putin che sommessamente non esclude le bombe atomiche.

Intanto, Donald Trump raccoglie vittorie alle elezioni suppletive in ben sei Stati chiave: il Nevada, la fondamentale Georgia su cui si accanirono i sospetti di frodi elettorali, il Michigan e la Pennsylvania ma perdendo per un soffio il Wisconsin. La tendenza avversa viene dalle donne scontente, benché repubblicane, dalla politica antiabortista perché il Grand Old Party vuole rendere illegale l’interruzione di gravidanza dopo la quinta settimana. Gli islamici americani che sono in gran parte repubblicani considerano l’aborto un crimine contro l’umanità e oggi l’elettorato di fede islamica supera quello degli ebrei che, in maggioranza votano per i Democrats.

Ed ecco un’altra diversione elettorale ancora non quantificabile: i democratici perdono i voti degli ebrei di sinistra che odiano Bibi Netanyahu (e quindi Biden che, fra molti malumori, lo sostiene a mano armata) ma che non se la sentono di passare sotto le rosse bandiere repubblicane. Biden era in risalita dopo una lunga sofferenza causata dal consenso raccolto da Trump sulla politica dell’immigrazione. Trump ha ripetuto che se fosse necessario si dovrebbe dichiarare guerra al Messico e della sua stessa opinione sono Ron De Santis, Rikki Haley, Vivek Ramaswamy convinti che solo l’uso della forza bloccherebbe immigrazione e i cartelli della droga.

La società americana non è più compattamente occidentale e i suoi umori sono mutevoli e mutanti in un tempo che vede schierati fronti di guerra esterni (Russia, Cina, Iran, Siria, Sudan) e interni come i conflitti della società frantumata da identità che prima non erano visibili. Trump può ancora sia vincere che perdere, e lo stesso vale per Biden, come l’immaginario gatto del fisico Schrödinger di cui non si poteva mai dire con certezza se fosse vivo o morto.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.