In politica contano le idee, ma a decretarne la praticabilità e il successo, sono anche i numeri. Dopo l’esito non felice delle ultime elezioni europee, su questa pagina ci stiamo chiedendo, con urgenza, se ci sia una strada per il riformismo che possa non solo passare, ma magari partire da Milano metropolitana. Proviamo a darci una risposta a cominciare dai dati. Innanzitutto uno, che val la pena di tener sempre presente: in un Paese che invecchia di anno in anno, Milano mantiene sostanzialmente ferma dal oltre vent’anni l’età media, poco sotto i 46 anni. Si tratta di un numero che diventa particolarmente significativo se viene accostato, tanto ai dati elettorali demografici, quanto a quelli socioeconomici. Riguardo la demografia, l’analisi del voto europeo ci dice per quanto riguarda le due liste riformiste (Stati uniti d’Europa e Azione) il voto degli elettori nella fascia tra i 18 e i 35 anni riscuote una percentuale superiore al risultato generale, di un punto per SUE e di tre punti per il partito guidato da Calenda. Nella fascia dai 35 ai 45 anni, la percentuale degli elettori è sostanzialmente sovrapponibile.

L’altro dato di analisi elettorale da tenere presente è invece relativo al tipo di occupazione e alla condizione economica. Il voto dei lavoratori autonomi e del ceto medio restituisce la medesima situazione di solido consenso: la percentuale coincide esattamente con quella del voto ottenuto. Questi sono gli ambiti di forza. Cosa significa? Che le proposte politiche riformiste, hanno soprattutto ascolto in quel perimetro sociale e lavorativo che di Milano costituisce l’anima, votata al cambiamento delle dinamiche del lavoro, protagonista dell’innovazione e allo spirito d’impresa. Non è cosa da poco, perché sincronizza nei fatti, il tessuto della metropoli che è laboratorio e guida economica e sociale del Paese, con una precisa dimensione politica. Si obietterà che il risultato delle elezioni europee, anche a Milano ha premiato la sinistra, ma a ben vedere i dem – rispetto alle amministrative del 2021 – hanno perso un paio di punti, mentre il blocco riformista è passato del 4 % della lista che sostenne Beppe Sala, al 13 %. Laddove l’analisi dei flussi indica che a livello nazionale i dem drenano voti a + Europa, Italia Viva e Azione, la realtà milanese potrebbe suggerire, quindi, perfino il contrario.

Ma c’è anche altro. Tanto nel consiglio comunale di Milano quanto in quello della Regione Lombardia, i gruppi consiliari che uniscono Italia Viva e Azione sono rimasti tali, resistendo agli scossoni e alle bellicose separazioni nazionali. Infine, ha un significato politico tanto rilevante quanto trascurato il dato delle dinamiche oltre i confini di Milano, nei comuni che insieme costituiscono quella città metropolitana alla quale bisognerebbe guardare più spesso. Dove i partiti dell’area riformista hanno sostenuto candidati sindaci sulla base della buona amministrazione pregressa e non su posizioni ideologiche, il contributo ad un buon risultato è stato significativo.

Un esempio è Rozzano, comune dell’hinterland sud, dove l’affermazione netta di Gianni Ferretti – in origine sostenuto dalla coalizione di centrodestra – rieletto con il 64,4 % a, ha avuto anche il consistente supporto di Italia Viva che ha totalizzato oltre l’8%, superando ampiamente la Lega. Altro caso, il comune di Pero, dove ancora Italia Viva e i Socialisti Riformisti hanno dato vita ad una lista centrista, insieme ad Udc e Forza Italia, che è arrivata al 20%. O ancora Novate: qui IV ha direttamente espresso un candidato sindaco, senza alcun altro partito, con la condivisione solo di una lista civica, ottenendo quasi il 12% dei voti. Insomma, qui il riformismo c’è. Resiste e perfino si rafforza. Non facciamolo aspettare ancora.

Mario Alberto Marchi

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