Ai responsabili metropolitani di Milano delle principali componenti liberaldemocratiche (Italia Viva, +Europa, Azione) abbiamo proposto tre spunti sui quali esprimersi, nell’intenzione di un progetto costituente.

Filippo Campiotti

Tre anni fa, alle ammnistrative, Milano fu con successo laboratorio della lista comune di riformisti. Così è stato poi anche in regione Lombardia. Di quell’esperienza cosa non si è riusciti ad esportare, prima alle politiche, poi alle europee?
“Quell’esperienza è stato il laboratorio verso il Terzo Polo che non a caso debutta a Milano il 2 settembre 2022. Quel giorno c’erano oltre 5000 persone: l’idea milanese di aggregare forze attorno a una lista caratterizzata dal coraggio riformista per una buona politica in grado di migliorare la vita delle persone accese un entusiasmo incredibile. Milano è ancora laboratorio: la lista c’è e la maggior parte dei rapporti tra gli esponenti di Azione e Italia Viva sono di collaborazione e talvolta di amicizia. Unirsi chiede il sacrificio di mettere da parte un po’ di sé: forse è questa disponibilità che è mancata. Sono gli elettori però a indicarci la via: regionali ed europee hanno dimostrato che la domanda c’è”.

Lo scorso 25 aprile Azione, Italia Viva e +Europa erano in corteo tutti dietro al medesimo striscione, quello della brigata ebraica. I valori fondamentali sono gli stessi, ma a quanto pare non basta…
“Serve estrema chiarezza nel messaggio che si decide di portare e nel posizionamento che si decide di mantenere e mantenerlo. Chi siamo? In quale perimetro valoriale ci muoviamo? Quali sono i punti cardine su cui i nostri elettori sanno che condurremo le nostre battaglie? Come gestiremo il tema alleanze? Manca una chiarezza complessiva della proposta che può far avvicinare con tranquillità gli elettori, altrimenti non sapranno mai con certezza a chi e a cosa si affidano. Non vanno lasciate zone di incertezza. Ma per far questo serve una disponibilità da parte di tutti di mettersi in discussione e a rischio”.

La metropoli è storicamente e fisiologicamente riformista: può ripartire da qui un progetto unitario, magari anche offrendo figure di riferimento?
“Possiamo dare una grande mano, anche perché ci siamo confermati uno dei grandi bacini elettorali del campo riformista. Non si tratta né di rottamare né tantomeno di chiudere fasi: occorre il realismo di chi prende atto di quali sono oggi i motivi per cui abbiamo consenso ma non siamo incisivi, e agire di conseguenza. Io credo che serva un partito riformista che se non lascia zone d’ombra può puntare come base di partenza a 2,5 milioni di voti. Alcuni risultati delle amministrative milanesi lo confermano. Siamo all’ultima chiamata per dare vita a un grande dibattito che ci consenta di costruire una proposta politica netta e credibile. De Gasperi diceva “solo se siamo uniti, siamo forti. Se siamo forti, siamo liberi di agire”. Noi riformisti milanesi possiamo essere un riferimento unitario capace di allargarci ed essere esempio per altre realtà”.

Paolo Costanzo

Tre anni fa, alle amministrative, Milano fu con successo laboratorio della lista comune di riformisti. Così è stato poi anche in regione Lombardia. Di quell’esperienza cosa non si è riusciti ad esportare, prima alle politiche, poi alle europee?
“Il progetto di tre anni fa è stato un laboratorio interessante seppur con qualche incongruenza che ne ha limitato le potenzialità.
Il problema vero è che, nonostante si siano formate amicizie e visioni comuni a livello locale, i repentini cambi di umore di qualche leader e la conseguente indisponibilità all’elaborazione collettiva hanno reso velleitario ogni tentativo di fare un passo avanti”.

Lo scorso 25 aprile Azione, Italia Viva e +Europa erano in corteo tutti dietro al medesimo striscione, quello della brigata ebraica. I valori fondamentali sono gli stessi, ma a quanto pare non basta…
“È necessaria una assunzione di responsabilità nei confronti del Paese. Il momento storico è molto complicato a causa delle crisi geopolitiche e del malessere diffuso causato da una eccessiva polarizzazione della ricchezza e della conoscenza. Si sta verificando l’isolamento sociale del cittadino democratico e la conseguente erosione della partecipazione al voto, il che agevola il successo dei partiti cartello che si rivolgono alle parti e non alla società o agli individui. La democrazia liberale sopravvive con l’inclusione sociale e con il valore percepito dell’uguaglianza politica. Occorre partire da qui per costruire una proposta politica comune”.

La metropoli è storicamente e fisiologicamente riformista: può ripartire da qui un progetto unitario, magari anche offrendo figure di riferimento?
“La Città e il Paese hanno bisogno di una classe dirigente preparata, disposta al dialogo e alla sintesi. Credo sia necessario un federatore delle forze liberal democratiche distante da questo cdx, che guardi al csx ma che non sia un cespuglio del pd o la sua gamba centrista. Bisogna partire da bisogni, interessi e priorità dei cittadini per vincere la disuguaglianza di influenza politica e per costruire un futuro collettivo più giusto e inclusivo”.

Francesco Ascioti

Tre anni fa, alle ammnistrative, Milano fu con successo laboratorio della lista comune di riformisti. Così è stato poi anche in regione Lombardia. Di quell’esperienza cosa non si è riusciti ad esportare, prima alle politiche, poi alle europee?

“Occorre uscire dagli schemi dei cartelli elettorali e lavorare sul Partito, non sul cartello. Offrire una casa ai riformisti che sia stabile, non occasionale.
Questa è una fase costituente e va vissuta in modo ambizioso”.
Lo scorso 25 aprile Azione, Italia Viva e +Europa erano in corteo tutti dietro al medesimo striscione, quello della brigata ebraica. I valori fondamentali sono gli stessi, ma a quanto pare non basta…

“Il 25 Aprile ha visto la partecipazione delle comunità ucraine, georgiane, dei riformisti del PD e di un mondo molto molto più ampio delle singole sigle dei singoli partiti proprio perché si era discussa la legittimità della brigata ebraica a sfilare, il che è – semplicemente – una follia”.

La metropoli è storicamente e fisiologicamente riformista: può ripartire da qui un progetto unitario, magari anche offrendo figure di riferimento?
“La partita per il “dopo-Sala” andrà costruita sulla qualità della proposta, del progetto e senza radicalismi: progetti estremisti, in un senso o nell’altro, senza una adeguata componente sia riformista che popolare sono destinati a fallire”.

Mario Alberto Marchi

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