I riformisti superstiti nel Partito democratico lanciano un avvertimento chiaro e tondo a Elly Schlein: bene il risultato delle elezioni europee, ma per puntare ad affermarsi a livello nazionale bisogna dare ascolto alla componente moderata che non si riconosce nell’asse sbilanciato completamente a sinistra. Anche perché credere di poter fare il pieno di consensi grazie alla sola base radicale creerebbe una voragine tra i moderati. Insomma, è arrivato il momento di fare largo ai riformisti. Che, per dirla tutta, sono stati i veri protagonisti di quel 24% incassato dal Pd. Il vero corpaccione di voti è stato garantito da loro, sui territori. E non da candidature di facciata come quella di Marco Tarquinio.

Il pressing dei riformisti è già iniziato ed è solamente alla fase iniziale. Saranno loro la vera spina nel fianco di Elly Schlein. In prima linea c’è Stefano Bonaccini che, forte delle oltre 390mila preferenze nel Nord-Est, allunga le braccia verso Carlo Calenda e Matteo Renzi dopo il risultato deludente delle loro liste: «Mi auguro che abbiano capito che arroccarsi ognuno sul proprio monte equivale a condannarsi all’irrilevanza politica, quando invece possono portare contributi importanti alla costruzione dell’alternativa». Come a dire: voi avete bisogno di noi, noi abbiamo bisogno di voi. Il messaggio in bottiglia del governatore dell’Emilia-Romagna equivale a una porta spalancata ai leader di Azione e Italia Viva. Bonaccini spazza via dal tavolo quei veti posti da diversi esponenti della sinistra radicale dem che spesso hanno impedito di allargare il perimetro della coalizione.

«Noi vogliamo tornare alla guida del paese e per farlo non possiamo non parlare ai tanti moderati», è la rotta tracciata dal presidente del Pd. A dare manforte alla tesi di Bonaccini è Giorgio Gori, che esprime perplessità verso chi vorrebbe limitarsi a riaprire i giochi a sinistra senza includere moderati e riformisti. La ragione è (anche) nei numeri: Azione, Italia Viva e +Europa hanno un peso di circa 7%. Appare evidente che privarsi di una quota del genere (tutt’altro che irrilevante) sarebbe deleterio per chi punta a ritrovare una «vocazione maggioritaria» per troppo tempo scomparsa. «Penso che se vogliamo costruire un’alternativa vincente non sia più tempo di veti, né da una parte né dall’altra», è l’appello lanciato da Gori. Che nella Circoscrizione Nord-Ovest ha portato a casa oltre 211mila preferenze.

Un esempio concreto arriva da Massimo Zedda, fresco della schiacciante vittoria che lo ha incoronato sindaco di Cagliari con il 60%. Grazie a una coalizione in formato extra large, dal Partito democratico al Movimento 5 Stelle passando per Verdi-Sinistra. Ben 10 simboli a suo sostegno. E Zedda, proprio sulla scia del netto trionfo, suggerisce a Schlein la strada da imboccare: «È indispensabile fare un percorso tutti insieme, anche con Renzi e Calenda».
Schlein ama definirsi «testardamente unitaria», ma a oggi non è stata chissà quanto conseguente nei confronti di Azione e Italia Viva. Si è affrettata a inseguire il Movimento 5 Stelle, ma ha finito per mettere nell’ombra i riformisti. Che invece ora chiedono di favorire davvero un campo larghissimo, ponendo le basi per una nuova offerta trasversale che non metta più ai margini un’anima identitaria cruciale. Nel Pd c’è chi ha messo in guardia Schlein sulle sirene del centrodestra: bisogna fare presto, prima che gli avversari si accaparrino renziani e calendiani che nel frattempo attendono in silenzio. Sbagliare è umano, perseverare sarebbe diabolico.