Nel partito di Matteo Renzi e in quello di Carlo Calenda la crisi è palpabile. Se il leader di IV ha deciso di fare un passo indietro e indetto un congresso straordinario per ottobre, il leader di Azione – che inevitabilmente seguirà lo stesso percorso – ha intanto comunicato al Direttivo che tutto può essere messo in discussione. Le due crisi vanno avanti parallelamente. «Noi siamo per costruire in modo democratico, dal basso, una casa comune per tutti i riformisti, libdem e popolari. E pensiamo che il primo gesto per dare una mano alla costruzione di questo processo debba arrivare da chi ha avuto responsabilità in passato: non può essere nessuno di noi a gestire questo passaggio. Con uno slogan: terzo polo con un terzo nome alla guida».

Lo scrive Matteo Renzi su Twitter confermando il congresso di Italia Viva in autunno. «Quest’area politica rappresenta il 10% dell’elettorato. È decisiva per le future elezioni. Non dare rappresentanza a questi cittadini è una follia». Dalle parti di Azione si parla del lancio imminente di una «Costituente repubblicana che riunisca riformisti, liberaldemocratici e popolari in un nuovo soggetto». Leggendo gli intendimenti dell’uno e dell’altro parrebbe di capire che si tratti della stessa cosa. Due percorsi convergenti verso un progetto comune, esito indicato dagli elettori in modo chiarissimo. Ma non c’è da esserne certi. Il clima rimane rovente.

Quando non twitta Calenda, parla il suo vice Matteo Richetti, che si rivolge così a Renzi: «La verità Matteo. La serialità di costruire intese elettorali sempre con uno scopo: te stesso e la tua elezione. Al parlamento italiano con noi, al parlamento europeo con +Europa. Cambia il soggetto ma lo scopo è sempre lo stesso. E il minuto dopo non esiste più nulla». Richetti affila le parole: «Il progetto, il sogno, il volare alto: questo è ciò che si scomoda in campagna elettorale. Ottenuto il risultato, nessuna disponibilità vera, reale. Calenda, Bonino, la signora Mastella, Cecchi Paone, tutto utile se porta una manciata di voti in più. No, questo non è nessun terzo polo e nessuno spazio politico nuovo, bello, coraggioso. E’ solo l’ennesimo modo di sfangare la tornata elettorale. Ma non funziona più». Con questi due gruppi dirigenti, che hanno scavato trincee tra loro, non sarà facile fare quel salto di qualità unitario che tanti aspettano. La base è in agitazione in entrambi gli schieramenti.

«Dobbiamo tornare a parlare con Italia Viva», ha detto nella riunione del Direttivo un esponente prima di essere azzittito dagli altri. Roman Pastore invece è un giovane dirigente di Italia Viva. «Non possiamo lasciare soli 1 milione e 700 mila elettori che hanno votato per il centro. Questi cittadini hanno espresso una chiara richiesta di cambiamento e dobbiamo rispondere a questa chiamata con determinazione e unità», dice Roman Pastore. «Sono convinto che Renzi, Bonino e Calenda abbiano ancora da offrire al nostro Paese, lo dice il 7,1 % degli Italiani che punta sul terzo polo», aggiunge. Augusto Minzolini, retroscenista di fama, chiama in causa i troppi freni a mano tirati anche da +Europa e twitta: «Tra le minuzie di queste elezioni c’è il no dei radicali a Totó Cuffaro che è costato a Stati Uniti d’Europa il fallimento dell’obiettivo del 4%. La questione va oltre Cuffaro: in un partito garantista come dovrebbero essere i radicali se uno ha espiato la colpa, colpevole o meno, dovrebbe tornare ad essere un cittadino come gli altri. Marco Pannella di fronte a quel no si sarà rivoltato nella tomba». Si avvia, nell’anteprima dei social, la stagione dei congressi.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.