Il Pd ha vinto le elezioni, Schlein può fare un passo indietro. Non sembri un paradosso: i kingmaker che hanno macinato i numeri di preferenze davvero impressionanti sono stati i leader riformisti che, dopo aver vinto il congresso del partito, si erano visti rovesciare il tavolo dai gazebo. La coabitazione con la “radicale” Schlein non è mai stata facile. E oggi, numeri delle europee alla mano, il pressing dei riformisti è già iniziato ed è solamente alle prime battute. Saranno loro la vera spina nel fianco di Elly, ma anche i primi a riaprire le porte a due eccellenti ex compagni di cordata. Matteo Renzi, enfant prodige dei Dem, di cui è stato segretario nazionale, e Carlo Calenda, che all’ombra del Nazareno è nato e cresciuto, e di cui è stato ministro, possono tornare a ragionare di scenari comuni con il Pd? A dirci di sì è il referente di Base Riformista, il senatore Alessandro Alfieri.

Il Pd è andato bene, con ottimi risultati personali per alcuni esponenti riformisti: Bonaccini, Decaro, Nardella. Segnale che il partito è rimasto di tutti?
«Abbiamo messo in campo personalità autorevoli e radicate: amministratori locali molto apprezzati, parlamentari che hanno ben lavorato insieme a figure civiche socialmente impegnate. Apertura e pluralismo. Perché il Partito Democratico o è plurale o semplicemente non è».

Senza che venga meno quell’attenzione ai diritti sociali e agli ultimi, cifra costante della segreteria Schlein?
«Sì, e che condividiamo tutti: una identità più marcata sui temi sociali: a partire dalle battaglie per difendere la sanità pubblica e per contrastare il lavoro precario».

Viceversa, batosta elettorale per Renzi e Calenda. C’è spazio politico al centro o i riformisti devono stare con il centrosinistra, come dicono Sala e Gori ricreando quello spazio che era della Margherita?
«Il Pd è la casa dei riformisti. Il risultato alle europee di tante candidate e candidati, anche di quelli meno conosciuti a livello nazionale, ne è l’ennesima conferma».

Bisogna tornare agli slogan del Lingotto, alla grande chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa?
«Personalmente sono legato all’idea di vocazione maggioritaria del Pd. Un partito democratico aperto, che sappia coniugare sensibilità e culture diverse perché considerate una ricchezza e non un limite. Dopodiché in vista delle elezioni politiche va avviata una riflessione seria su come dare rappresentanza, anche con forme innovative, a settori del mondo produttivo e delle professioni che hanno in passato votate per proposte che si collocavano al centro degli schieramenti politici».

Calenda, a quanto risulta da retroscena di stampa, avrebbe già ripreso il dialogo con il Pd. Avete le porte aperte anche a Renzi, o su di lui c’è una preclusione, il veto di qualcuno?
«Sono da tempo convinto che l’alternativa a questo governo dobbiamo provare a costruirla su una proposta condivisa e credibile con tutti i soggetti che stanno all’opposizione. Senza veti reciproci. Adesso è chiaro per chiunque che serve generosità. E ne serve da parte di tutti».

Unendo tutte le forze che si oppongono al centrodestra si arriva al 53%, questa somma può diventare una coalizione, un nuovo Ulivo?
«Non a tavolino, calata dall’alto. Va costruita passo passo con un lavoro comune nei territori e nelle grandi battaglie in Parlamento su sanità e lavoro, come in quelle per governare la transizione ecologica o per contrastare premierato e autonomia differenziata».

Un Pd che prende coscienza di non essere autobastante, insomma?
«Non ci sono scorciatoie, il percorso sarà lungo. Ma la direzione è tracciata. Il Pd sa di non essere autosufficiente ed è pronto a fare la sua parte con senso di responsabilità»

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.