Il leader di Libdem, Andrea Marcucci, ci espone il suo punto di vista sul percorso unitario che auspica per le forze riformiste e liberaldemocratiche dopo l’epic fail delle Europee.

Come è andata la campagna elettorale per Libdem, con Stati Uniti d’Europa?
«Libdem ha fatto un’alleanza con +Europa e Italia Viva ed ha fatto una bellissima campagna. Ci siamo molto impegnati con tutti i candidati e possiamo dirci soddisfatti dei voti che abbiamo preso. Purtroppo, soddisfatti ma amareggiati, perché tutto l’impegno e i tanti voti non sono serviti. Il risultato finale non è positivo. E la causa sta proprio nella mancanza di unità tra i soggetti riformisti e liberaldemocratici, che poi è proprio la ragione per la quale Libdem è nata…».

Mi faccia capire, Libdem è nata per unire Renzi e Calenda?
«E anche di più. Il nostro progetto iniziale è sempre stato quello di mettere insieme tutta l’area, certamente includendo anche Calenda che però ha deciso di fare un’operazione diversa. Mantenendo le distanze, come si teneva, questa divisione è diventata debolezza. E abbiamo perso un’occasione. Avremmo potuto avere una pattuglia di 6-7 parlamentari europei e questa sconfitta è un grande rammarico per tutti, del quale tutti si dovrebbero fare carico».

La vostra missione di federatori si scontra contro scogli insuperabili?
«Era il nostro obiettivo iniziale, ed è rimasto l’obiettivo durante le fasi della costruzione della lista. Avremmo voluto fare una lista unitaria con tutti, ed abbiamo incontrato tutti più volte. Purtroppo Calenda non ha accettato e ha fatto la sua corsa, spaccando gli elettori e disperdendo quei voti».

Un milione e settecento mila elettori dispersi, ci rendiamo conto?
«Un rammarico enorme. Che patrimonio elettorale disperso! Un milione e settecento mila italiani di cultura liberaldemocratica non trovano rappresentanza nel Parlamento Europeo. Io ho fatto tanti incontri per scongiurarlo, mi sono fatto un’idea di chi ha responsabilità maggiori in questa disfatta. Ma non è più tanto questo a interessarmi. Bisogna guardare avanti. E non proseguire sulla strada dell’errore, che è la strada della divisione».

A quale forma, quale tipo di soggetto politico pensate adesso?
«A un partito unico, da far nascere con un congresso, una convention unitaria che porti insieme tutte le esperienze, ne faccia la sintesi e metta ai blocchi di partenza non una persona ma un grande progetto. Con noi Libdem, Italia Viva, Azione, +Europa e le altre sigle che hanno corso con Renzi e Calenda alle Europee. Se ci si aiuta tutti a costruire questo percorso, poi identificare la nuova leadership sarà la conseguenza».

Renzi ha detto di essere pronto a fare un passo di lato, Calenda sembra al momento meno netto.
«Non ho parlato con Calenda negli ultimi tempi, lo farò nei prossimi giorni. Tutti a questo punto devono essere pronti a mettersi in discussione, a fare un passo di lato. Ho sentito che Italia Viva vuole fare un suo congresso: io dico che è inutile fare cinque congressi diversi, per cinque partiti, in momenti diversi. Diventa un percorso lungo e farraginoso».

E dunque, come procederebbe?
«Chiederei a un ente terzo di aiutarci a definire il tracciato: la Fondazione Einaudi, una istituzione liberale autorevole, può essere importante per identificare i passi che ci portano a dare vita a un soggetto unitario nuovo. Unitario, contendibile, aperto. Con sensibilità diverse che possono contribuire ad alimentare il dibattito interno per arricchimento dialettico e non più per logica di scontro».

C’è un terzo nome, per il terzo polo?
«Ci sono tante persone in gamba. Perché abbiamo promosso una classe dirigente selezionata, preparata, appassionata. Le caratteristiche? Un nome nuovo, terzo, che sappia unire».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.