La cronaca è nota, ma vale la pena riassumerla. Ci sono almeno una trentina di grandi progetti di rigenerazione urbana, alcuni con cantieri già avviati, sui quali la procura di Milano sta indagando. Ma interessati da questioni simili sono 150. Si tratta di lavori che andranno a ricostruire aree già urbanizzate, nel solco di quel grande progetto di metropoli che sta cambiando il volto della città In alcuni casi la Procura di Milano ha formalizzato ipotesi di reato, in qualche caso già mandato a processo in udienza preliminare, in altri è stato aperto un fascicolo d’inchiesta, in altri si è in attesa degli sviluppi. In sostanza, per tutti, l’accusa è di abuso edilizio, per aver fatto passare per ristrutturazione lavori di edificazione ex novo. In qualche caso di abuso d’ufficio, ma sempre concernente la modalità di applicazione della legge edilizia.

Il risultato sono cantieri fermi, uffici pubblici paralizzati, funzionari e operatori edilizi disorientati di fronte ad uno scenario che improvvisamente sembra andare in direzione opposta rispetto a quella seguita con il consenso di tutti (compresa la magistratura amministrativa e quella penale dei predecessori dell’attuale procuratore della repubblica) e l’apprezzamento di tanti, fino ad ora e a partire almeno dal 2013. In realtà, la rigenerazione di Milano non va nemmeno avanti da dopo l’Expo, ma da ben prima, seguendo un canone consolidato che vede il progresso urbanistico e immobiliare della metropoli incardinato su interventi sul già costruito e non sull’espansione della città nei terreni verdi. Anche le aree post industriali hanno seguito questa linea, a ben vedere sin dalle fine negli anni 70’, con opifici che hanno lasciato il posto a immobili residenziali e poi quartieri che hanno cambiato pelle, al passo con le rinnovate necessità anzitutto abitative e terziarie.

Fino ad ora tutti avevano agito nel solco di una interpretazione condivisa (da operatori, enti locali ed organi di controllo) della legislazione secondo la quale alcune vecchie norme della legge urbanistica si devono ritenere riferite alle sole aree non appartenenti al tessuto urbano costruito. In tal senso va l’intero impianto della legislazione regionale lombarda, che ha sfruttato lo spazio lasciato dalla riforma del titolo V della costituzione nella materia a cosiddetta legislazione concorrente, tra cui appunto l’urbanistica. E, a cascata, i piani regolatori comunali, tra cui quello milanese.

Si contestano però, nelle inchieste, gli strumenti di approvazione per costruire sopra i 25 metri, o al di sopra di certi indici di edificabilità, ovvero come chiamare certi interventi- se ristrutturazione o nuova edificazione – nonostante tutto ciò sia avvenuto negli ultimi decenni sulla base di norme regionali e comunali mai messe in discussione, ma che la Procura ritiene oggi tutte illegittime. Il piano regolatore di Milano assume quella impostazione e fa in modo che si possa procedere con titoli semplici o complessi in modo autonomo, calcolando in via generale, con il Piano dei Servizi, quali contropartite ottenere per l’edificazione al di sotto di certe estensioni degli interventi. Inoltre, intervenire sul costruito, secondo le definizioni divenute legge, senza ampliare il volume edificato, significa ristrutturare, non edificare ex novo.

Da qui, fatta la somma del tutto, discende innanzitutto l’osservazione che si parla di “come” costruire, non di “quanto”, quindi che le inchieste avviate dalla procura non hanno come oggetto illeciti su volumi di cantieri, tangenti e gare truccate, ma l’interpretazione della differenza tra costruire e ristrutturare, o meglio rigenerare e di come farlo. Ma se c’è un abuso, deve esserci un vantaggio. Posto che gli edifici non sorgono dal nulla e che i volumi sono dichiarati e approvati, la Procura pare individuare la questione nei minori oneri che il costruttore deve versare e nella minore complessità dell’iter di approvazione. Non sappiamo come finirà, se interverrà o meno il Parlamento a risolvere il conflitto interpretativo, ma un ragionamento di buon senso ci sta: anche solo a voler far iniziare lo sviluppo metropolitano con l’Expo, quanto valore per la città, per la Regione, per la nazione, anche in termini economici e di flussi finanziari e fiscali ha prodotto quello sviluppo, a fronte del tema degli oneri edilizi?

Se poi – come è giusto fare – andiamo ancora più indietro nel tempo e nelle amministrazioni, ci accorgiamo che il buon senso è stata la prassi che ha permesso a Milano di essere la città con il processo di rigenerazione più avanzato del Paese, sempre adeguato ai cambiamenti economici, lavorativi e di esigenze di cambiamento. E soprattutto, in piena continuità tra centro-destra e centro-sinistra. Si è costruito dove c’erano quartieri fatiscenti che non rispondevano più ai bisogni e al decoro. Si è costruito dove sorgevano aree industriali in disuso che andavano riconvertite ad uso abitativo. Seguendo un principio comune a tutte le metropoli che hanno bisogno di aumentare la disponibilità di alloggi e uffici, senza incidere sul nuovo territorio, ovvero sviluppando in altezza e una prassi che nessuno aveva fino ad ora mai messo in discussione, che vede prima accogliere pratiche di cambiamento della forma degli edifici ristrutturati, poi di demolizione e ricostruzione di parti non più funzionali. Tutto senza che il giudice esperto, quello amministrativo, avesse nulla da eccepire.

Tutto questo, in realtà e con continui aggiornamenti funzionali ed estetici, fin dalla post industrializzazione degli anni 80’, con una accelerazione in parallelo alla riconversione dell’economia cittadina, sempre più orientata ai servizi e ai nuovi residenti. Oggi, oltre ai trenta cantieri sotto inchiesta, ci sono decine di progetti di rigenerazione urbana, di cui meno della metà già avviati, che comprendono decine di migliaia di abitazioni, uffici, sedi pubbliche e private dedicate alla ricerca e alla cultura. Interi nuovi quartieri. Sarebbe necessaria una amministrazione nelle condizioni di essere agile e proattiva e dall’altra parte operatori concentrati sulla prospettiva di realizzare opere importanti. Invece il rischio è di avere un sistema che si ferma, cercando di capire per il presente quali siano i punti messi in discussione e i rischi che improvvisamente si corrono, per il futuro in che direzione andare. Con Milano che non ha nella sua natura la vocazione a fermarsi ed aspettare.

Mario Alberto Marchi

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