Dopo avere letto il fondo di Paolo Mieli ieri sul Corriere ci siamo detti: non siamo più soli. Finalmente, sulla prima pagina del più grande giornale d’Italia, il più acuto giornalista e intellettuale dell’argenteria nazionale inchioda la magistratura, accasandola di essere nella sua totalità complice di un patto scellerato per preservare il quale è stata sempre pronta, senza eccezione alcuna, a far quadrato contro qualsiasi riforma che disinneschi il patto scellerato. Perché? Per un perverso e finalmente ben visibile gioco di ricatti incrociati, per cui tutti sanno che se si sapesse quel che tutti sanno, una catastrofe senza scampo si abbatterebbe su tutti i magistrati, spazzandoli via dalla faccia del pianeta terra. La riformetta Cartabia che è venuta al mondo dopo una trattativa in cui si è trovato il più basso punto di compromesso morale lo dimostra.

Mieli è il titolare di un brevetto perfetto: quello della dimostrazione a-contrario che non offre appigli. L’incipit è fattuale: Colpisce che il cento per cento dei magistrati che si sono fin qui pronunciati sulla riforma Cartabia abbiano espresso dissenso. Non uno solo, salvo qualche toga pensionata come Luciano Violante e con moltissima prudenza. L’argomento usato è stato quello secondo cui la riforma “avrebbe consentito il ritorno in libertà di centinaia di migliaia di delinquenti provocando la fine dello Stato di diritto, nonché della democrazia conquistata con la Resistenza. Tutti e non uno contrario a questa valutazione di un progetto, la Cartabia, che se non fosse stato cambiato “con una seconda decisione unanime, quella di ieri sera, avrebbe provocato al nostro Paese danni incalcolabili”. Quindi, alla fine, il male ha trionfato, aggiungiamo noi. Come mai tanta unanimità? Chiede Mieli. Nessun coraggioso o dissidente? Il fatto è sotto gli occhi: sono tutti d’accordo fra loro senza eccezioni. Per quale motivo?

E qui la perfida logica di Mieli si sposa con il suo stesso coraggio nell’esporla. Si possono dare due casi: il primo è che abbiano ragione loro e che la prima versione della legge avrebbe rimesso davvero in libertà “uno spropositato numero di mafiosi, terroristi e malfattori di ogni specie”. Se davvero fosse così, dice Mieli, dovremmo ringraziare quei bravi parlamentari del M5S di aver bloccato un provvedimento che avrebbe “minato la sicurezza del Paese”. Ed ecco il dardo avvelenato dalla verità travestita da ipotesi dell’assurdo, dunque da respingere con orrore: “L’altra ipotesi – ammettiamolo “quasi” inverosimile – è che la magistratura italiana sia diventata ormai un corpo malato, un insieme di uomini e donne che si combattono a colpi di dossier, che le istituzioni come il Csm siano precipitate nel discredito, che le correnti abbiano abbandonato standard di moralità minori di quelli che avevamo i partiti politici, con un servizio di pentiti consapevoli del loro ruolo di servizio. Ma più che altro sapendo che tutto deve essere fatto per mantenere in piedi un castello di ricatti incrociati in cui nessuno è innocente e tutti hanno da temere.

Sarebbe mai possibile una tale mostruosità, si chiede retoricamente quel gran paravento di Paolo Mieli? Ma quando mai! Sarebbe impossibile o almeno improbabile “anche se qualche rischio lo si può intravedere in lontananza” perché se un tale scenario fosse minimamente realistico, allora vorrebbe dire che “le prese di posizione di alcune toghe contro Draghi e la Cartabia andrebbero interpretate come un accorto posizionamento in vista di un cataclisma prossimo venturo”.

Questo lo stato delle cose. Questa storia mi ricorda una stupida barzelletta dei tempi del fascismo quando il regime decise di dichiarare “guerra alle mosche” adottando tutti gli accorgimenti con drastica immediatezza. Così quando poi un gerarca va in ispezione a Napoli coperta dalle mosche, irritato chiede al Podestà: “ma non avete fatto la guerra contro le mosche?”. Signorsì, rispose il podestà, e hanno vinto le mosche. Sperare nei referendum? Speriamo e agiamo, ma le mosche sono organismi potenti e onnivori, divorano anche i referendum.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.